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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 10 GENNAIO 2000

Questo per dire quanta incapacità ci fu di legare il ruolo del dirigente politico alla crescita della soggettività nei territori, il non esserci proprio: il rimprovero che saliva dal basso era: "Ma dove siete voi che siete i nostri dirigenti? Come mai non siete nei nostri collettivi? Come mai non partecipate ai nostri momenti di crescita e di lotta nel territorio?". E questo fu un rimprovero non molto scontato e che favorì grandi disastri. Pensate all'esperienza di Barbone e all'omicidio di Tobagi: quella gente veniva dalle fila del movimento dell'Autonomia milanese. Uccisero Tobagi convinti che da una parte quell'obiettivo rappresentasse la dimostrazione di un'intelligenza alta, in quanto obiettivo interno ad uno degli elementi fondamentali dell'esercizio del potere, la comunicazione ed in particolare quella progressista, e dall'altra che fosse una carta di presentazione importante per entrare nelle Brigate Rosse. Questo era il disegno pazzesco di un gruppo di cinque persone. Noi le abbiamo conosciute tutte, io personalmente dentro al carcere, e per fortuna, perché altrimenti sarebbero stati pentiti che a loro volta avrebbero fatto anche il mio nome! Ma era tutta gente, ragazzi giovani, che era passata nei collettivi della nostra Autonomia, e che era finita lì; e noi li abbiamo visti cedere di schianto e rapidissimamente uno dopo l'altro, non solamente Barbone e Morandini ma anche gli altri che avevano inizialmente minimamente tenuto. La Brigata 28 Marzo che uccise Tobagi è secondo me un esempio emblematico dei processi degenerativi e della deriva lotta-armatista che ha attraversato il movimento in quegli anni e che sembrava, soprattutto in città come Milano, inarrestabile. Ma inarrestabile perché l'organizzazione dell'Autonomia Operaia non c'era. Non si può dire che fosse debole, non adeguata dal punto di vista teorico e nell'organizzazione di modelli organizzativi: aveva tutto da questo punto di vista. Era debole dal punto di vista del soggetto dirigente, inesistente. I nostri collettivi nascevano nella spontaneità del movimento, facevano riferimento a noi per casualità o per rapporti personali, ma non diventavano organismi dell'organizzazione. Noi siamo diventati organizzazione sugli atti giudiziari. Tanto è vero che il nostro coordinamento della provincia di Varese e di Como, che invece aveva una fisionomia e un'immagine organizzata, se pure in embrione (usciva con il suo organo di stampa, faceva delle campagne provinciali, le battaglie venivano fatte in coordinamento, in più c'era un lavoro territoriale), tale che sugli atti giudiziari fu scritto dai pubblici ministeri che, decapitata l'Autonomia con il 7 aprile, il gruppo dirigente della provincia prese in mano le redini dell'organizzazione per il rilancio dell'offensiva. E fu uno dei temi anche del mio interrogatorio che, riprendendo le parole dei pm, provocò le risate della giuria. Quando leggevo gli atti dei pubblici ministeri e li confrontavo con gli atti pubblici sulla nostra consistenza organizzativa (documenti, volantini, le stesse dichiarazioni dei pentiti), c'era la giuria popolare che ad un certo punto rideva di questa operazione psicopatica si potrebbe dire, in realtà politicissima, dei pm di costruire questa geometria perfetta di una macchina da guerra. E arrivare al punto di ritenere i residui del gruppo dirigente dell'Autonomia che faceva riferimento a Rosso, cioè noi, in grado di rilanciare il movimento dopo il 7 aprile, era una cosa ridicola, nonostante fosse vero che noi ce la mettevamo tutta per seguire anche Milano, ma era praticamente impossibile. Tanto è vero che di lì a breve, nei primi mesi del 1980, ci fu l'altra grande ondata di arresti che coinvolse le nostre strutture milanesi e fece quasi tabula rasa; e la sequenza di pentitismo e dissociazione che coinvolse anche i nostri militanti, fece sì che il gruppo dirigente della provincia fosse individuato e arrestato nella maniera più assurda possibile, con montature pianificate, che sono crollate addirittura nei tribunali dell'emergenza perché non stavano in piedi neanche lì.
Noi della provincia ci trovammo da una parte ad essere ritenuti i soggetti in grado di rilanciare l'ipotesi sovversiva a livello lombardo, ma dall'altra parte, individuati ed arrestati anche noi, si creava una situazione molto manichea (tutto era molto manicheo allora, o eri pentito o eri irriducibile): per cui c'era la provincia con venti-trenta collettivi che, arrestati noi quattro-cinque che eravamo il suo gruppo dirigente, non ne andava più in galera uno, tutto si è fermato! Noi eravamo stati arrestati su delazioni milanesi: Milano era tutta dentro e il 90% era già dissociato o pentito.

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