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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 10 GENNAIO 2000

Ciò era in parte vero, perché l'Autonomia Operaia organizzata in quegli anni era tutto fuorché organizzata; davvero le costruzioni giudiziarie sono patetiche da questo punto di vista, rasentano l'umoristico. Questo dipingere l'Autonomia Operaia come una macchina da guerra organizzata, Negri capo di qui, quegli altri capi di là, generali, ufficiali, gregari: era assolutamente insostenibile, e devo anche dire che mi dispiace! Ma era così purtroppo: si trattava di qualcosa in cui c'era una ricchezza soggettiva molto alta, magari avanguardie bravissime, collettivi qualificati dal punto di vista della capacità di far politica, ma era un tessuto organizzativo molto fragile e debole. Se si pensa a che flussi di militanti ci sono stati dal movimento alle organizzazioni armate e dalle organizzazioni armate al movimento, ma più nella prima direzione, questo lascia intendere quanto fosse difficile e quanto i gruppi dirigenti fossero inadeguati al compito di tenere insieme le formazioni politiche e sociali che si andavano a costituire. Ci furono interi collettivi di quartiere che passarono ad un'organizzazione combattente, cioè la pazzia: collettivi di quartiere o di territorio che fino al giorno prima si occupavano di intervento sociale, di occupazione di case, di rivendicazione di spazi, che di punto in bianco sparivano perché entravano in Prima Linea piuttosto che in un'altra formazione combattente; ed erano collettivi dell'Autonomia, anche la nostra parte di Autonomia. Queste cose lasciano intendere una capacità molto scarsa dei gruppi dirigenti di seguire la crescita dei militanti, di essere presenti nei luoghi della militanza, una sorta di testa pensante collettiva troppo separata dal corpo e dagli organismi di massa che si facevano, si disfacevano, facevano di testa loro. Quindi, una situazione davvero pesante da questo punto di vista. Probabilmente c'era anche dentro all'Autonomia Operaia chi non aveva una preoccupazione forte al radicamento e alla costruzione di un'organizzazione di massa, ritenendo che in una città come Milano, e quindi nelle metropoli, fosse secondario il problema del radicamento territoriale e prioritaria invece la capacità di guidare un movimento di massa multiforme, quindi il fatto di essere egemoni su una realtà che si dava come movimento metropolitano indipendentemente dalla sua identificazione territoriale. Cioè l'identificazione territoriale dava un senso di appartenenza perché c'era la sede nel quartiere, ma che questo distinguesse il microprogetto territoriale dalla battaglia metropolitana non era dato; era più un discorso di lanciare grandi campagne e iniziative generali di carattere metropolitano unitarie su cui giocare tutta la forza del movimento. Ricordo durissimi scontri e battaglie all'interno della nostra organizzazione perché c'era chi riteneva il lavoro quotidiano sul territorio assolutamente secondario rispetto alla grande valenza di coagulo che potevano avere le grandi battaglie di carattere generale di piazza, per cui a contare di più erano le grandi scadenze in cui a Milano c'erano migliaia di persone in piazza.
Tutto questo richiede un'analisi grossa perché non è così semplice dire chi aveva ragione, perché alla fine poi abbiamo avuto torto tutti. Noi nei territori attorno alla metropoli lavoravamo come formichine, fin troppo forse, a costruire collettivi nelle scuole, nelle fabbriche, settimane intere alle 6 del mattino a fare i picchetti contro gli straordinari nelle fabbricchette, a parlare con gli operai, a fare le vertenze anche nella fabbriche di quindici persone. Facevamo un lavoro da sindacato politico che immediatamente rovescia all'esterno della fabbrica il problema interno, che quindi lavora nella fabbrica sì sui bisogni interni degli operai ma immediatamente dicendo loro che non c'è soluzione ai nostri problemi interni se non c'è coordinamento con il territorio. Quindi una delle battaglie più grosse che facevamo era di dire agli operai delle piccole fabbriche: "Non andiamo avanti a restare isolati, facciamo le piattaforme territoriali di fabbrica, parliamo dello straordinario non come problema della mia fabbrichetta ma di questo territorio, parliamo del problema della mancanza di servizi come problema territoriale e non interno alle fabbriche". Questo lavoro richiedeva sforzi enormi, noi avevamo compagni delegati nei consigli di fabbrica, che intervenivano come delegati dell'Autonomia, che presentavano contro-piattaforme e davano filo da torcere al sindacato del territorio. Ma parlo di un'esperienza di due, tre, quattro anni al massimo, un'esperienza intensissima.

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