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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 10 GENNAIO 2000

Quando cioè stavano perdendo le maggioranze assembleari, quindi le masse, i sindacalisti e gli uomini del PCI ponevano le discriminanti: "O con noi o abbandonati nelle mani delle aree contigue al terrorismo", queste sono le conclusioni dei segretari provinciali e nazionali dentro alle assemblee delle fabbriche dove noi eravamo forti. I funzionari arrivavano e dicevano: "Non ci interessano le piattaforme aziendali su cui rischiamo di perdere, la mettiamo sul politico, e il politico per noi è questo: o state con noi guidati dai dirigenti, o state con la contiguità del terrorismo, quindi state con chi non vi da garanzie di organizzazione e addirittura con chi potrebbe farvi scivolare sul terreno dell'illegalità, e quindi farete i conti con la giustizia, con la repressione". Questi erano gli anni legati a Moro, erano gli anni in cui noi eravamo più forti come radicamento nelle scuole e nella fabbriche; più ci rafforzavamo dal punto di vista del radicamento, più facevamo i conti con l'avanzare di questo tipo di atteggiamento del fronte avversario in tutte le sue articolazioni, dal sindacato al potere più militare, quindi dalle perquisizioni alle battaglie pubbliche di questo genere. Essere fuori dalla sinistra istituzionale diventava sempre più un atteggiamento di extralegalità. Quindi, la legittimazione a livello di massa avveniva perché la forza organizzativa era tale da rispondere anche a queste paure che venivano agitate dalla gente, altro che il terrore delle azioni militari delle organizzazioni armate che pure magari avevano scopi possiamo dire simili nei confronti dello Stato: faceva più paura la minaccia pubblica sul luogo di lavoro, giocata ai microfoni delle assemblee, che non la paura che il "terrorismo" arrivasse e colpisse anche i lavoratori. Faceva più paura il fatto di sapere di essere non solo abbandonati dalla propria organizzazione rappresentativa, ma addirittura di poter essere strumentalizzati. Noi abbiamo visto con i nostri occhi assemblee operaie che in questo clima venivano abbandonate dai lavoratori, in una situazione di loro grande angoscia anche esistenziale; addirittura abbiamo visto operai e operaie piangere con i nostri compagni perché non restavano al loro fianco, dicendo: "Noi non vi tradiremo certo votando per il sindacato, ma non riusciamo a sentire la forza per schierarci, per poi partire a dare battaglia". Parlo di fabbriche in cui sulle piattaforme sindacali si formavano cortei operai di una durezza da far paura tanto alta era la determinazione; eppure in quegli anni l'intimidazione produceva questi risultati. Tutto ciò ci faceva capire quanto fosse importante continuare sul paziente e quotidiano lavoro di massa dentro e fuori dalle fabbriche, cercando di non lasciarle isolate dal territorio, di non far sentire gli operai nei reparti da soli ma legati anche ad un movimento sociale all'esterno, ad un muoversi di soggetti anche fuori dal luogo di lavoro: quindi il centro sociale, i giovani che andavano davanti alle fabbriche. Creare insomma un tessuto non dico di grande progetto, ma comunque di elementi di progettualità riconosciuti nel territorio, sentiti come propri dalla gente, quindi la casa, i servizi sociali, i centri sociali e via dicendo, insieme ai problemi operai. Parlo di un problema che era sentito in luoghi in cui le fabbriche avevano centinaia di operai con una tradizione di lotta alta alle spalle, eppure vivevano questo isolamento, questo abbandono, creato da una cultura intimidatoria e terroristica vera e propria. Quanti anni ci sarebbero voluti? Tanti anni. Probabilmente anche noi vivevamo nell'ambiguità di avere una teoria della trasformazione sociale, quella per semplificare legata all'operaio sociale, in cui il ruolo dell'avanguardia, dell'organizzazione, del partito era nuovo rispetto al passato e alla tradizione leninista, molto più impegnato a rendere protagoniste le strutture che nascevano nel territorio con dentro i militanti politici; ma nello stesso tempo avevamo anche noi dentro ancora i vecchi retaggi teorici terzinternazionalisti, i vecchi retaggi del partito separato che non ha bisogno di una legittimità alta e massificata nel territorio. Questo per dirla forse in termini ancora nobili, in realtà c'era anche l'aspetto della concorrenza con le organizzazioni armate, l'ansia di fare i conti con un'egemonia sul movimento che si temeva che avesse potuto essere guidato e avere come punto di riferimento le organizzazioni combattenti e soprattutto le Brigate Rosse. Quindi, c'era anche da parte nostra, e sbagliavamo, la paura che una rappresentazione non adeguatamente alta della capacità della nostra organizzazione o dell'Autonomia in generale non avrebbe saputo creare un'alternativa visibile e credibile all'interno del movimento, che avrebbero considerato l'Autonomia Operaia semplicemente come qualcosa che si confondeva con il movimento senza essere in grado di assumere la guida, di dare risposte organizzative.

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