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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 10 GENNAIO 2000

E tutto ritorna all'insufficienza della soggettività politica. Il fatto che dire soggettività politica vuol dire parlare di una categoria particolarmente pesante e grande, forse più ancora di quello che possiamo comprendere noi. Io sono stato arrestato, hanno provato in molti modi a farmi parlare, con le buone o con le cattive, sono riuscito a non parlare, ma una cosa è certa: non le hanno provate tutte. Con alcuni le hanno provate tutte. Non mi hanno torturato così come hanno fatto con altri, mi hanno mezzo assiderato, pensando di piegarmi non facendomi dormire per il freddo perché se no morivo congelato; ma non hanno fatto quello che hanno fatto ad altri compagni, portati nel bosco, a cui hanno sparato nelle orecchie, bruciati i capelli con la vampata della pistola dicendo che li avrebbero fatti fuori tanto nessuno sarebbe andato a cercarli; oppure torture sul corpo come hanno subito alcuni, pensiamo a Di Lenardo, cose documentate e fotografate. Chi mi dice come avrei reagito? Io posso dire che mi sono misurato con una materialità in cui il mio essere soggetto politico è riuscito a tenere, ma posso dire questo perché l'ho vissuto. Ma un vissuto diverso come avrebbe fatto i conti con la mia soggettività? Magari avrei resistito, magari no. Ma attenzione, questo vale come pratica comunque minoritaria: ci sono state delle torture anche pesanti, ma non è stata questa la molla della dissociazione. Questo deve essere assolutamente chiaro. Che nessuno dica mai che il pentitismo e la dissociazione si sono basati sulla violenza fisica nei confronti dei detenuti: non è vero! E' stata la cella e la lettura delle sentenze: questo è bastato ed è avanzato. E questo mi permette di dire che la soggettività politica lasciava molto a desiderare, comunque. Quindi, il problema non è che il soggetto politico sia necessariamente un eroe individuale, una persona pronta a morire prima di cedere; ma un soggetto politico non è neanche quello che dice di non riuscire a vivere in cella: allora non fai la rivoluzione. Un soggetto politico che dentro ad una società matura gioca una sfida di carattere rivoluzionario deve saper fare i conti con i livelli più alti e più sofisticati di risposta dello Stato, anche quelli violenti, ma non solo quelli. E saperci fare i conti è un problema in cui le verifiche si fanno davvero sul campo e non nelle parole, e sono verifiche molto pesanti, soprattutto nei tempi della sconfitta. Devo dire che ci sono stati compagni davvero eroici a resistere, e poi si sono dissociati; compagni che sotto le torture hanno risposto in maniera durissima allo Stato e ai suoi aguzzini, e che poi con la testa hanno ceduto, e molto tempo dopo. A dimostrazione che il problema della soggettività è una cosa molto complicata, è un problema davvero di intreccio tra il tuo essere riconosciuto e il tuo saper fare i conti anche con te stesso: entrambe le dimensioni, della solitudine e del radicamento della tua persona nei rapporti sociali, esistono allo stesso modo, e sono entrambi pesanti. Perché nessuno più del soggetto politico, della soggettività, rischia l'isolamento; anzi quella dell'isolamento è la pratica fondamentale dello Stato. E lì non ti misuri certo con le masse che vengono ad assaltare la Bastiglia. In quei momenti il problema della tenuta è enorme, ed il cedimento in certi casi (non sto parlando solo dell'esperienza italiana, ma anche di quella sudamericana, irlandese, spagnola...) non è mai accettabile ma è comprensibile perché è l'isolamento della solitudine. E da questo punto di vista non necessariamente un'avanguardia politica non cede mai: hanno tenuto sotto tortura compagni che non erano neanche dirigenti politici semplicemente per una forza d'animo, di carattere, per una personalità eccezionali, ma umana, da martire; hanno invece parlato fior fiori di intellettuali e dirigenti politici invitati e non costretti al tavolo del pentimento. E' stato anche un dramma umano, basato sul cedimento di corpi e di menti dentro all'isolamento della cella: questo è stato l'elemento dirompente. E poi ci sono stati corollari ahinoi violentissimi e pesantissimi; in genere comunque i più conciati dal punto di vista delle torture sono quelli che hanno resistito di più. Savasta per esempio no: è stato torturato in maniera pesantissima, possiamo dire che è un infame, un pentito, ma gliene hanno fatte di tutti i colori. Questo non lo giustifica, anzi. Dal punto di vista politico un dirigente non avrebbe dovuto arrivare ad organizzare la rivoluzione e la pratica politica in quel modo: è questa la sua responsabilità più grave, non quella di aver poi ceduto.

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