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INTERVISTA A MASSIMO DE ANGELIS - 1 LUGLIO 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e gli inizi della tua attività militante?


Farò soltanto degli abbozzi, non un tracciato storico-politico. Il mio percorso politico e culturale in un certo senso parte dallo stupore di un bambino quele ero nel '68, a fronte del casino che sembrava succedere attorno a me. Ci sono tre episodi che mi vengono in mente. Il primo è capitato quando avevo otto o nove anni, era quindi il '68 o il '69, a Milano: avevo un album di figurine, ero in classe con un maestro un po' scarpone, un vecchio alpino, un cattolico partigiano, ma uno di quello dai "valori", al quale però non piacevano molto gli scioperi di allora. Anch'io venivo da una famiglia che si lamentava sempre: "di questi tempi ci sono sempre gli scioperi", "andate a lavorare", si diceva a casa. L'idea che mi facevo quindi, era che nei tempi passati, precedenti alla mia esistenza, di scioperi non ce n'erano. E quel giorno, in classe, mentre stavo riordinando le figurine colorate della storia d'Italia da incollare nell'album, ne vedo una che, secondo la didascalia, raffigurava degli operai in sciopero all'inizio del novecento. Mi ricordo di aver puntato la figurina col dito ed aver esclamato come cadendo dalle nuvole: "ma allora gli scioperi non ci sono solo oggi, c'erano anche una volta!" Mi ricordo lo sguardo del maestro tra l'indignato e il divertito. Io credo che nel mio caso, non ci sia voluto un partito di professionisti rivoluzionari come lo voleva Lenin o Lukàcs per convertirmi alla causa della giustizia sociale e darmi "coscienza". Il virus l'ha piantato una semplice figurina in un contesto storico tutto particolare.
Il secondo episodio è riferito invece alla prima settimana di scuola al primo anno delle medie, quando avevo 11 anni. Andavo in una scuola a Milano, era la succursale di una scuola media dove c'erano solo i primi due anni, il terzo era nella sede centrale. Un giorno quelli del secondo anno, i più "maturi", vengono da noi con cartelli e bandiere gridando: "sciopero! sciopero!". Sti ragazzini di 12 anni scioperavano perché "gli avevano tolto" il loro amato professore di storia e letteratura, che noi del primo anno sapevano a malapena chi fosse, ed era venuta invece un'altra professoressa che a loro "non piaceva". Che si fa allora? Beh, sciopero. E noi, in solidarietà', che facciamo? Sciopero! Chiaramente poi arriva la preside e ci mette subito in ordine, mi sembra che il professore fosse andato in pensione. Ma pero' vi rendete conto il clima di quegli anni? Scioperavano proprio tutti per qualsiasi cosa. Anche noi bambini. Ripeto, io vengo da una famiglia proletaria, emigrata dalla campagna nel dopo guerra, di origine contadina, ma tra tutti i miei parenti non c'erano né comunisti, né sindacalisti. E quel contrasto, tra lo spirito di rivolta là fuori e di rassegnazione "sociale" in famiglia, che penso abbia contribuito alla formazione di parecchia gente della mia generazione.
Poi un altro episodio è stato il primo giorno delle superiori, come vedete la scuola è stata determinante per la mia formazione politica. Ho iniziato le superiori alla Feltrinelli, un istituto tecnico, questo per i primi due anni, poi sono passato ad un altro istituto tecnico che era il X ITIS sempre a Milano, ho fatto chimica alla fine. Il primo giorno delle superiori viene uno di seconda, e mi porta in palestra per insegnarmi a far parte del servizio d'ordine di Lotta Continua, che io, da povero ragazzo d'oratorio, non sapevo neanche cosa fosse. Ed eccomi lì, invece che in laboratorio a limare pezzi di ferro nelle ore di "aggiustaggio", mi trovo a fare le prove di cordone in palestra nell'eventualità caricasse la polizia. Io mi ricordo di una sensazione strana. Ero un ragazzino di 14 anni, ai primi giorni delle superiori, cattolico e credente, eppure trovavo il mio essere in palestra dove mi avevano portato, una cosa divertente e abbastanza naturale! Poi non ci sono andato a fare il servizio d'ordine con Lotta Continua. Ci ho bazzicato un po' in quell'area, ma quando tornavo a casa continuavo ad andare all'oratorio, dove vivevo l'impegno sociale in un altra maniera, con gli handicappati, nel quartiere per esempio. Mi ricordo che nell'ambito della parrocchia facevamo un sacco di riunioni per discutere delle questioni del momento, cose per le quali magari a scuola si faceva una manifestazione. In retrospettiva posso dire che c'è stato un periodo della mi vita di adolescente dove a scuola scoprivo la lotta, e in parrocchia lottavo nel mio piccolo per il diritto alla scoperta della vita.
Allora, questi sono i tre episodi, dove in periodi e circostanze diverse mi sono trovato a fare i conti con le ambiguità e le contraddizioni di una twilight zone sospesa tra un ambiente famigliare tutto chiuso su se stesso, e l'esplosione sociale del desiderio, creatività e comunicazione che passava attraverso la lotta.

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