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INTERVISTA A MASSIMO DE ANGELIS - 1 LUGLIO 2001


Nell'imperialismo c'erano stati imperiali che andavano a colonizzare altri stati, altre realtà. La dinamica storica dell'imperialismo era pensabile all'interno di una polarità interno-esterno. Anche i movimenti di liberazione nazionale venivano inquadrati all'interno di questa polarità: l'analisi politica dei vari terzomondismi si concentrava sulla necessità di difendere gli interessi delle nazioni colonizzate visti come outside relativo alle forze imperialiste. In questo caso, invece, l'impero è già formato, tutto è già stato colonizzato, non c'è più outside, nel senso che la dimensione capitalista e di sua regolazione politica e gestione della sovranità si è ramificata in tutto il mondo. Ma questa ramificazione assume anche un carattere qualitativo. Da una parte c'è il giusto riconoscimento che primo, secondo e terzo mondo si compenetrano a vicenda. Dall'altro si enfatizza in maniera un po' eccessiva la postmodernizzazione dell'economia globale, il lavoro immateriale, la produzione biopolitica e quella della vita sociale. Ora poiché l'impero ha sussunto la vita nella sua totalità, in questo scenario, la "moltitudine" può dirigere le sue forze creative - che ora sostengono l'impero - in maniera alternativa verso l'organizzazione di un "contro-impero". Queste lotte emergono dal terreno stesso dell'impero, non da una dimensione ad essa esterna. E in virtù di questo dovranno inventare nuove forme autonome di potere che passino attraverso l'impero e vadano oltre.
Ci sono una serie di osservazioni da fare. In primo luogo, io credo che Hardt e Negri abbiano ragione a mettere in luce la questione della riproduzione, cioè' di quella che chiamano produzione biopolitica e della vita, cosa che il marxismo tradizionale si è spesso dimenticato di fare. Ma loro lo fanno però in una maniera un po' astratta, che non riesce ad articolare il lavoro di riproduzione con il lavoro di produzione, forme non salariali di lavoro con forme salariali all'interno di una divisione internazionale del lavoro. La ricerca di questa articolazione, come dirò più avanti, deve essere centrale.
In secondo luogo, il rapporto tra assenza dell'outside e lavoro politico. Mi sembra che qui ci sia un problema. Da una parte si dice che l'impero ha colonizzato tutto, non c'è più outside, non c'è più esteriorità, per cui la liberazione dall'impero significa lotta a partire da un terreno immanente all'impero stesso. Ora mi chiedo, come leggere all'interno di questo quadro la realtà di molti movimenti (da contadini del terzo mondo a lavoratori immateriali del primo) che si stanno organizzando per impedire o rallentare i meccanismi dell'impero. E' difficile inquadrare le lotte di questi ultimi anni, quelle contro il libero commercio, il debito, il FMI, e la banca mondiale e via dicendo all'interno del quadro teorico dell'Impero. Proprio perché questo quadro vede l'impero come realtà invece che come progetto - questo e' secondo me un errore tipico delle varie tradizioni marxiste - quando la realtà si scontra contro questa interpretazione nascono pericolosi giudizi politici. Per esempio, c'è un'immagine nel libro che mi e' rimasta impressa, e nella quale mi sembra riecheggia un certo marxismo classico della fede nello sviluppo delle forze produttive: non bisogna rallentare lo sviluppo, bisogna spingerlo più a fondo così arriviamo prima oltre il tunnel dell'impero. Allora, in questa prospettiva, come definire le lotte dei milioni di contadini del sud dell'India contro il libero commercio e gli OGM? Si rifiutano forse di farsi assorbire completamente dall'impero? Resistono l'inevitabile? Agiscono da elementi di reazione contro lo sviluppo imperiale? Stanno limitando l'avvento della società post-imperialista? E cosa dire delle centinaia di migliaia che in Bolivia rifiutano la nozione neoliberale di sviluppo e costituiscono coordinamenti contro la privatizzazione dell'acqua. Non contribuiscono forse questi movimenti a rallentare l'investimento del capitale?
Sicuramente Hardt e Negri fanno bene a criticare la posizione terzomondista. Però si deve anche rispettare il fatto che queste lotte fanno parte del processo costitutivo della soggettività di oggi, in un quadro di comunicazione inter-movimentista planetaria. Molte lotte nel Sud del mondo rappresentano un primo passo - insufficiente in se stesso, ma comunque sempre il primo passo - per la definizione di un limite all'accumulazione. E' all'interno del processo che definisce la qualità di questo limite che si crea lo spazio costitutivo.

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