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INTERVISTA A MASSIMO DE ANGELIS - 1 LUGLIO 2001


Perché c'è una mancanza completa di un progetto politico a livello complessivo e una debolezza nella capacità effettiva di proposta. La socialità altra di cui tanto si parla, ad esempio, è uno slogan e nulla più: la socialità dei centri sociali non è molto diversa da quella sistemica, una merce con un'ambivalenza di cui ben poco si pensa e si valorizza una potenzialità altra. La soggettività che nei centri sociali si esprime, sui differenti livelli, riesce ad essere ben poco antagonista a quella diffusamente colonizzata dal capitalismo. Non solo non è (e non può essere) un fuori, ma è un dentro ben poco contro. Un progetto di trasformazione non è un programma in dieci punti immutabile e statico: al contrario, esso parte da un'analisi dell'esistente, ri-elabora i propri fini e scopi, cerca di trasformare l'esistente verso di essi e al tempo stesso adatta questi al processo stesso, in un continuo su e giù tra i diversi livelli, in un'ottica dinamicamente progettuale.


Voi la mettete come la mancanza di un progetto politico esterno al vissuto della gente. Sicuramente ci sarà questo elemento. Io però parlo con molte persone ai margini dei centri sociali e sento un sacco di lamentele. Ritorniamo alla questione della comunità, al fine come mezzo organizzativo e quindi di coesione sociale. Ma perché non partire da lì, perché non partire dal "grado di comunismo" all'interno dei centri sociali? Molta gente se ne va dai centri sociali perché non è rispettata, perché non è ascoltata, perché non c'è comunità. Questa è per esempio l'esperienza di molte donne. È il riproporsi continuo degli stessi schemi, dei leaderini, della priorità dogmatica di certe impostazioni dell'interazione, della marginalizzazione di altre, del rifiuto dell'ascolto, della svalorizzazione di esperienze diverse. In pratica, il centro sociale che dovrebbe essere una di queste cellule di una nuova società, con tutti i limiti del caso, rischia sempre di riproporre schemi di una società vecchia. Secondo me non c'è bisogno di ricorrere a mancati progetti politici, che poi ci fanno sperare che un giorno arrivi qualcuno a darci il programma giusto. Nella mia esperienza, la spiegazione dei nostri limiti là dove siamo e possiamo esercitare potere, è spesso assai più semplice. L'insegnamento fondamentale del femminismo è stato che il personale è politico. Perché il personale non è nient'altro, all'interno di questo metanetwork della produzione sociale, che una sfera e un ambito molto limitato di un rapporto tra nodi della nostra interazione sociale. A livello sostanziale c'è pochissima differenza tra rapporti interpersonali e i rapporti mercificati fra persone che non si conoscono: dire che il personale è politico non vuol dire nient'altro che in ogni caso si parla di rapporti tra esseri umani. In ultima analisi, sia che ci mettiamo a discutere dei grandi temi astratti dell'"economia", o del nostro rapporto con questo o quella compagna in assemblea, si pone sempre il problema della forma del rapporto tra esseri umani, della qualità della comunicazione e interazione tra di essi, dei rapporti di potere e del loro superamento, della stupidità dogmatica e della sua trascendenza, del rapporto tra ciò che è visibile e ciò che è senza voce, dell'affermazione del rispetto, della dignità e di tutte queste cose qua.

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