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INTERVISTA A MASSIMO DE ANGELIS - 1 LUGLIO 2001


Ma quando l'operaio in un certo settore pone il problema del suo valore sociale e della sua dignità a livello sociale, cominciando un processo di costruzione di ponti non solo "contro" ma anche "per", ha incominciato il processo di estinzione dell'operaio in quanto operaio, perché per il capitale gli operai non si possono e non devono farsi domande, e non possono rivolgere queste domande alla società. Per il capitale loro non si possono concepire come coloro che si pongono in maniera degna rispetto al resto della società. Per il capitale essi sono solo forza-lavoro che lavora, e non come forza creativa che chiede "ma siamo sicuri che vogliamo tutte queste automobili? Siamo sicuri che vogliamo tutte queste armi? Siamo sicuri che vogliamo questi polli industriali che a noi costa anche parecchia fatica produrli?" E se in effetti apriamo questo dibattito a livello sociale, e scopriamo che in effetti ci sono troppe armi, troppe automobili, pochi pannelli solari, e troppi polli industriali, come ci organizziamo allora la nostra vita? O si pensi all'infermiere che chiede: "siete sicuri che volete questo tipo di sanità? Siete sicuri che volete essere curati da persone stressate e malpagate? come ci organizziamo la sanità e la salute? Che significato ha per noi la salute?". Queste sono domande politiche, non puramente economiche. Sono domande che non solo rivendicano, ma aprono un dibattito politico su questioni specifiche, e allo stesso tempo metti in discussione il tuo ruolo sociale in quanto operaio, insegnante, studente, contadino, e via dicendo. Facendoti le domande partendo dalla questione della dignità, ti stai prendendo delle responsabilità partendo da dove sei per la costruzione di una società diversa. Tu prima parlavi dell'ambivalenza, e Hardt e Negri nel loro Empire mi sembrano si siano anche allontanati dall'analisi della dialettica tra lotte e sviluppo, almeno per quanto riguarda l'analisi degli ultimi vent'anni. Questa dialettica però è importante riconoscerla perché ci da il terreno sul quale le lotte sono recuperate. Allora, se oggi, all'interno della fabbrica globale, non c'è un soggetto sociale che è capace di farsi portatore del cambiamento sociale, se oggi in pratica non c'è né l'operaio dei consigli, né l'operaio massa, né il lavoratore immateriale che può funzionare da forza sociale messianica, significa che l'intervento politico deve partire dalla pluralità dei soggetti. È qui che ritorniamo alla questione del fine come mezzo organizzativo, perché il coordinamento di questi soggetti diversi, l'interscambio di valori e il loro riconoscimento reciproco, definisce la forma stessa della società nella quale vogliamo vivere. È dunque su questo terreno che si pone la questione del trascendere la dialettica del dentro e contro il capitale, e invece creare in qualche modo uno spazio politico, sociale e culturale che una dimensione parallela, diversa, il salto nel vuoto in un'altra dimensione. Il come fare questo, è la grande domanda politica e strategica.


C'è un altro problema. La sinistra ha sempre guardato alla posizione di potere, quindi il potere come qualcosa che si prende, formalmente concentrato in un punto o in un luogo. Dall'altra parte c'è quella che Foucault chiama microfisica del potere, ossia un potere non concentrato bensì diffuso; Romano, in modo non troppo dissimile, parla di politicità intrinseca, verticalmente e orizzontalmente diffusa, come il potenziale d'influenza e di condizionamento che i rapporti e le attività hanno nei confronti del potere e del dominio. Tra posizione di potere e potere diffuso (verticalmente e orizzontalmente) esiste un rapporto: il socialismo reale è entrato in un'irreversibile fase di ipostatizzazione nel momento in cui la posizione di potere si è isolata dalla trasformazione dei rapporti di potere. Si tratta di pensare ad una dinamica di interrelazione in un progetto di trasformazione complessivo. Se si guarda solo ai metafini si finisce per pensare il comunismo come ad un capitalismo senza capitalisti; dall'altra parte, se le trasformazioni dal medio raggio in giù non riescono a salire e mettere in discussione i livelli alti non hanno molte possibilità di arrivare a rotture effettive e a processi di fuoriuscita dal sistema, e ben presto si può tornare più indietro di dove si era partiti.

Sono d'accordo sul fatto che i metafini vanno messi in discussione, ma il problema è da dove parti organizzativamente. Non ci servono grandi sbrodoloate ideologiche, come per esempio quelle di molta sinistra inglese. Io sono d'accordo con gli zapatisti su questo punto: "facendo domande si cammina". Il problema è, quali domande? In quali contesti politici e sociali? Quali risposte ci permettono di muovere il nostro movimento, creare dei limiti all'accumulazione attraverso dei nuovi commons e allo stesso tempo costruire comunità la dove possiamo? La politica è un processo di ricerca organizzativa, e quest'ultima non è altro che la creazione di networks sociali. Ma ditemi, perché dopo anni e anni che passa dai centri sociali la gente se ne va?

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