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INTERVISTA A MASSIMO DE ANGELIS - 1 LUGLIO 2001


No, è una dimensione ambivalente invece, che pone il vivente-umano e la sua soggettività dentro il sistema, però con due facce che non possono essere scisse ma vanno considerate sempre nella loro interrelazione più o meno conflittuale: la faccia per e la faccia contro. Le lotte possono essere da una parte momento di risoggettivazione e di rottura a certi livelli, dall'altra sviluppano e innovano la società capitalistica; così la formazione sistemica, ad esempio, è formazione per i fini capitalistici, ma dall'altra può essere potenziale di controformazione per qualcosa d'altro. Si tratta di aver ben chiara la dimensione processuale e mai irreversibile dei rapporti.


La dialettica è dialettica del capitale, il che vuol dire che nella misura in cui questa ambivalenza di cui parli muove il capitale, questo si sviluppa; nella misura in cui i flussi di desideri sono canalizzati in forme merceologiche il capitale si sviluppa perché si appropria delle soggettività e dei desideri, diceva Deleuze, trae da essi il suo stesso sostentamento. Io sto parlando della rottura della dialettica, in questo senso Negri aveva ragione nel "Marx oltre Marx", il porre la soggettività in altro modo, in forma costitutiva, parlava di "autovalorizzazione": una dimensione oltre, uno spazio aperto, una tangente che va in un'altra dimensione, poi magari è recuperata e recuperabile, chi lo sa, questo dipende dalla forme organizzative, dalle contingenze ecc. Ma quando ti poni in modo costitutivo, chiedendo, il come insieme al quanto, ponendo la questione della dignità insieme a quello dell'esistenza, e costruendo su di essa, secondo me crei un outside, una dimensione altra. Insomma, il salto, la rottura con i metaparametri, perché il capitale non ha questo rapporto con la dignità, ce l'ha soltanto nella misura in cui la dignità è monetizzabile all'interno di una gerarchia sociale. Ma il porre il problema del tuo ruolo in quanto spazzino, in quanto operaio, in quanto insegnante, in quanto infermiera, il tuo ruolo nella società, vuol dire creare ponti con il resto della società, vuol dire mettere in discussione il "come", il "cosa" e il "quanto" di queste funzioni sociali, vuol dire esattamente costituire o cominciare un processo costitutivo, vuol dire anche incominciare il processo di negazione del tuo ruolo in quanto spazzino, operaio, insegnate e via dicendo.


Il Negri che citi, però, parla di una soggettività che è quella data, quella dello status quo, colonizzata dal capitalismo, che lui interpreta come immediatamente antagonista. Quella forma costitutiva di cui parla è il risultato dell'immanenza e del progresso, non ha niente a che vedere con un processo di controformazione e di controsoggettivazione. Questo processo non si pone fuori, si pone dentro e contro. La soggettività politica che negli anni '60 e '70 si è formata contro, oggi in buona misura è collocata in ruoli professionali per lo sviluppo sistemico: ma in entrambi i casi c'è un'ambivalenza, non sono processi unilaterali o unidirezionali. Dall'altra parte l'operaio che più si è identificato con la potenza collettiva all'interno della produzione capitalistica ha spesso finito per essere il più rivoluzionario, quello che ha capito che quella potenza, trasformata, poteva essere usata per altro. L'operaio-massa ha per la prima volta costituito la possibilità di un progetto politico non solo anticapitalista, ma di autoestinzione della stessa condizione operaia e proletaria, un processo non solo antagonista al capitale ma anche contro se stesso. Se non pensiamo a un progetto che vada in questa direzione, finiamo per fare l'apologia della soggettività moltitudinaria così com'è oggi, o per piangere sull'ingiustizia e sulla cattiveria del capitalismo che sfrutta e opprime.


Avete ragione, il progetto è, con il vecchio Tronti quello dell'autoestinzione dei soggetti sociali sfruttati e oppressi, l'autoestinzione della "classe". Questo è chiaro. Ma la domanda è: a partire da cosa? E per me la risposta è: da forme organizzative sociali che riflettono i nostri fini. Il futuro nel presente. Quindi, io vedo la questione della dignità in quanto metodologia di rapporto col resto della società come il primo passo per l'autoestinzione della classe.

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