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INTERVISTA A MASSIMO DE ANGELIS - 1 LUGLIO 2001


Ogni problema tecnico, ogni innovazione scientifica ha un suo uso e finalità definito all'interno di rapporti di potere esistenti. Per andare oltre la contrapposizione apocalittici e integrati, occorre, molto semplicemente, rivedere il ruolo della democrazia, e dare voce a coloro che oggi sono senza voce. È proprio il pensare come questa alternativa possa essere praticabile senza perdere il senso della realtà' e dei rapporti di potere che ci da la nostra tradizione comunista, che ci pone di fronte al problema di una costruzione di un outside all'interno del capitale, di uno spazio politico, democratico e materiale che cerchiamo di proteggere dalla colonizzazione dell'impero.
Come creare questo spazio? In un certo senso, questa è una domanda molto simile a quella posta prima, per che cosa siamo noi? Voglio porre la questione della dignità non come questione ideologica, ma come concetto organizzativo, non di lotta contro, anche se chiaramente c'è anche questa dimensione, ma di lotta per: è la dignità che contribuisce a creare spazio, che crea un outside all'interno del mostro. Perché la dignità non è un valore astratto, ma un rapporto sociale, e il comunismo non è altro che un modo di coordinare i rapporti sociali basato sulla dignità di tutti i soggetti. Porre il problema politico e organizzativo della dignità è porre la questione della propria posizione rispetto al resto dell'articolazione sociale produttiva su scala planetaria. Il problema organizzativo quindi non deve essere visto unicamente in maniera strumentale del tipo: "come facciamo a ottenere più salario?" o "come facciamo a ridurre l'orario di lavoro?". Questa è cosa perfettamente legittima ma all'interno di un'articolazione globale della fabbrica globale, ogni nodo produttivo che si mette in questa prospettiva classica di rivendicazione, ha di fronte a se un compito enorme, perché le forme disciplinari del mercato mondiale permettono il ricatto della mobilita' di capitale.
No, la frammentazione stessa della fabbrica globale, il fatto che la produzione e la riproduzione sia fondata sull'articolazione mondiale di differenze, sia a livello planetario, che quelle articolate all'interno di ogni metropoli, o nazione, significa che il compito dell'organizzazione sia in primo luogo quello costitutivo di nuovi rapporti sociali. La domanda principale che ogni organizzazione si dovrà porre in maniera crescente è: cosa vuol dire collegarsi con gli altri nodi che fanno parte di altre sfere dell'attività dell'agire sociale? In che rapporto siamo noi, diciamo, operai dell'industria con gli infermieri, gli studenti, i contadini del Terzo Mondo, e viceversa? Come ci articoliamo costitutivamente all'interno di una divisione internazionale del lavoro, di una fabbrica globale? Come ci colleghiamo con loro? Come noi ci poniamo rispetto al mondo? Chi siamo noi infermieri? Come si esprime la nostra dignità, facendo turni da quindici ore perché non ci sono soldi per farci lavorare di meno? Che tipo di sanità voi volete, voi contadini, voi studenti, voi insegnanti, voi operai? Che tipo di automobili voi volete? Lavoriamo tutta la vita per costruire queste automobili sempre nuove. Siamo orgogliosi di questo? Ma le vogliamo tutte queste automobili?". E se non le vogliamo più. Come ci procuriamo da mangiare? "Che tipo di prodotti agricoli volete?" ci chiedeva Bovè, "che tipo di campagne, che tipo di rapporto tra città e campagne volete?". Queste sono grandi domande, è qui che passa la costituzione di rapporti nuovi, sia attraverso la soddisfazione di bisogni immediati, cioè il salario, il lavoro ecc., ma sia anche attraverso il porre la questione di una società diversa. Questa secondo me è la creazione di outside, di un esterno. Non è la costituzione di una soggettività meccanica, perché è il porsi veramente delle domande e il crearsi un'organizzazione sulla base di queste domande e la ricerca collettiva di risposte. L'obiettivo che abbiamo, molto generico, non specificato, quello del comunismo, di una società umana, di un modo di coordinare l'attività sociale in forma umana, non feticistica, in cui non siamo governati e dominati da cose ma da rapporti diretti, in cui ci prendiamo direttamente in mano i nostri affari in quanto esseri umani, all'interno di un organismo sociale, prendiamo l'obiettivo e ne facciamo mezzo organizzativo. L'organizzazione non è più un mezzo per il fine, questo machiavellismo radicato nella cultura marxista è per molti versi superato, ne capisco l'utilità in certi momenti, ma quando parliamo di costruzione di una società diversa che è basata su rapporti umani il fine diventa mezzo organizzativo, questa è la forza.

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