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INTERVISTA A MARIO DALMAVIVA - 19 FEBBRAIO 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e l'inizio della tua attività militante?

Il mio percorso di formazione è stato molto anomalo, perché non avevo né tradizioni famigliari né formazione politica nei partiti, direi che la mia è stata una scelta d'istinto. Io all'epoca facevo il dirigente a Roma e per combinazione con un collega avevamo deciso di andare a vedere il maggio francese, eravamo proprio partiti all'avventura. E quello che avevo visto mi aveva colpito molto, per cui ero tornato in Italia, la mia politicizzazione all'epoca (sto parlando del 1968) consisteva nel leggere L'Espresso, questo può dare un'idea, non avevo mai fatto politica attiva. Debbo dire che il maggio di Parigi mi colpì parecchio. Cominciai a leggere, il primo libro lo ricordo ancora perché mi aveva entusiasmato: era quello di Baran e Sweezy, "Il capitale monopolistico". Ma feci tutto da solo, senza neanche possibilità di verifica perché non ero nemmeno a Torino. E poi vidi delle manifestazioni a Roma, in particolare una che finì dietro il "palazzaccio", in piazza Cavour, dove la polizia pestò manifestanti e passanti: quella in qualche modo credo che fece scattare una molla, per cui lasciai il lavoro a Roma, mollai la casa, feci rientrare mia madre che viveva con me, comprai una vecchia Vespa e venni a Torino. E a Torino andai per così dire a vedere i luoghi dove pensavo che ci fosse il movimento, fondamentalmente il movimento studentesco, ma avendo la faccia da bravo figliolo ed essendo vestito come un dirigente mi presero subito per un infiltrato della polizia, sto parlando dei vari Bobbio, Viale, il movimento studentesco insomma. Frequentai un po' il movimento studentesco che allora era già in crisi notevole, ma debbo dire che non mi ci trovavo molto con quei discorsi, per cui girovagando per Torino finii nella Lega studenti-operai che faceva un discorso che riconoscevo molto di più, che era molto più pragmatico. All'epoca il movimento studentesco, credo soprattutto per l'impasse che attraversava, era molto proiettato sul terzomondismo, mentre invece nella Lega studenti-operai trovai un discorso serio fondato sul salario. Mi ricordo che con loro partecipai proprio alle primissime lotte di Torino di quel periodo, il famoso sciopero perdente alla Lancia che mi sembra durò trenta giorni: sviluppai lì una capacità un po' istrionesca da capopopolo senza però formazione politica alle spalle, che mi facevo via via che andavo avanti con l'esperienza. Lì conobbi naturalmente anche Vittorio Rieser. Qui a Torino c'erano state le manifestazioni davanti al manicomio di Collegno, l'occupazione delle Molinette: lì tramite Vittorio conobbi un operaio delle meccaniche di Mirafiori se non ricordo male. In quell'inverno ci furono poi gli episodi della Bussola. Vittorio ed io ci inventammo questi volantini operai con la sigla che discutemmo un po' se era Lotta Continua, poi io proposi La Lotta Continua, poi togliemmo il La: rimase e nacque Lotta Continua, ma eravamo sostanzialmente io, Vittorio e forse un'altra persona che andavamo davanti a Mirafiori, naturalmente portando il discorso del salario. Dopo di che io mi misi a lavorare con un gruppo di studenti-lavoratori iscritti alla facoltà di Trento, che allora era un po' il punto di riferimento della contestazione in Italia. Conobbi Sergio Bologna a Milano, che mi mise poi in contatto fondamentalmente con i padovani che a Torino non avevano punti di riferimento, perché qui quello che poi diventerà Potere Operaio era assente, c'era solo Emilio Soave che però era Potere Operaio pisano. Naturalmente mi trovai in una sintonia di discorsi con questi compagni e praticamente iniziammo questo lavoro alla Fiat tenendo i contatti e mandando informazioni a Milano e poi successivamente anche a Padova, facemmo un intervento per tutto l'inverno fin quando nella primavera cominciarono a scoppiare gli scioperi. Noi eravamo sempre quattro gatti perché il movimento studentesco era chiuso dentro la facoltà, non si sentiva un discorso operaista, occorreva aspettare che arrivasse Adriano per convincerli a venire in fabbrica. Questo operaio di cui parlavo prima mi sembra che si chiamasse Ottavio, nella Lega eravamo veramente due gatti, non c'è da pensare a grandi gruppi, eravamo 10-20 persone. Io facevo militanza completa, perché vivevo della liquidazione, quindi non avevo uno stretto bisogno di lavorare in quel momento, e dunque facevo militanza 12 ore al giorno, per cui andavo davanti alle fabbriche, facevo i volantini, discutevamo, ciclostilavo, andavo a distribuirli. Fu così che fondammo Lotta Continua, con appunto una componente torinese dell'operaismo: io continuavo a capirne abbastanza poco ma riuscii poi a mettere in piedi le assemblee studenti-operai, e questo fa parte del dopo. L'intervento poi si qualificò come Lotta Continua perché serviva una firma, prima credo che firmassimo studenti-operai perché anche parlare di Lega studenti-operai non aveva senso. Naturalmente c'era tutta la tradizione dei Quaderni Rossi, le inchieste e queste cose qui.

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