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INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 5 FEBBRAIO 2000

Ritengo fondamentale lo sviluppo in senso forte di un'idea di democrazia e nello stesso tempo di liberazione del lavoro, in quanto questi due elementi secondo me vanno fortemente insieme: non c'è espansione della democrazia senza liberazione del lavoro ma non c'è viceversa liberazione del lavoro senza espansione della democrazia. Quindi tutte quelle esperienze radicali che prescindono dal nodo della democrazia ed in qualche modo di una sua accettazione, con i suoi limiti, mi sembrano decisamente sterili, impotenti e dannose; così come non condivido il liquidare stupidamente la questione dello Stato semplicemente con poteri esclusivamente negativi che gravano sulla società e non anche come un ambito che è in qualche maniera anche un risultato di conquiste, uno spazio fruibile che ha un suo rilievo ed anche un valore sostanziale. La democrazia non è in nessun modo riducibile al capitalismo. Però nello stesso tempo questo documento solleva in me anche una simpatia in un certo senso, a partire da questo senso di estraneità: se sei nel deserto (per tornare a questa metafora) tutto ciò che ti permette di immaginare che la tua notte lì non la passi al nudo sotto le stelle, ma che ti fa un pochino sentire prossimo a casa, è sempre confortevole. Non avendo cioè casa ed essendo nel deserto, tutto quello che può anche solo somigliare a forme antiche della vecchia casa, anche se non è quella che posso abitare o che mi piacerebbe trovare al fondo del cammino (non per me, ma magari per le prossime generazioni), mi interessa. Così, in un certo senso, stando in Africa, anche se non è la mia casa e non mi appartiene sul piano culturale, ho la percezione di stare un pochino più a casa, proprio perché quanto meno le pressioni esistenziali del mondo capitalistico lì sono scaricate. Questo dipende certamente anche dal fatto che lì vivo una condizione di privilegio, sul piano economico, sociale, culturale, "razziale", in quanto ho la pelle bianca e questa è sinonimo di privilegio: un bianco è comunque considerato ricco, non importa poi se qui uno fa fatica a vivere. Ho conosciuto un professore universitario che prende £.300.000 al mese e viaggia con auto come la vecchia Fiat che si vedeva in giro in Italia trent'anni fa, e sono arrivate dall'Egitto piuttosto che dal Marocco, e a sua volta erano magari arrivate dall'Italia meridionale vent'anni prima. Quindi si tratta di una situazione estrema. Ci sono forme che io non sono capace di accettare, sul piano proprio biografico, esistenziale, prima ancora che ideologico: la competitività, la socialità, il disinteresse per la dimensione affettiva oppure la riduzione dell'elemento dell'affettività ad una cattiva erotizzazione, ma soprattutto l'atomizzazione del vivere, la chiusura in un individuo povero. C'è la negazione del grande messaggio di emancipazione che è nato con la modernità, che era quello di sviluppare l'individuazione al massimo grado, mentre mi sembra che questa oggi sia estremamente negata.
Il vero punto di partenza secondo me non è la dimensione del collettivo ma il rivendicare di poter tornare ad essere degli io, dei soggetti. Quando nel documento si parla di soggettività, quella a cui penso io non è la vostra, che secondo me nasce da una dimensione ideologica e si applica come una forma di coscienza piena sulla vita dell'individuo: questa forma di soggettività non mi interessa più, la trovo falsificante ritornandoci a ritroso in passato e comunque non nasce dalla dimensione del vissuto. Mi interessa invece che oggi in qualche modo si liberino le dimensioni del vissuto e che la possibilità della vita sia restituita alla sua pienezza, anche proprio a quella della sua individualizzazione, cioè che ciascuno abbia l'opportunità di dare un senso forte e non vuoto, meccanico, feticistico (inteso proprio nel senso del regno delle merci e delle cose), come oggi invece accade. Mi sembra infatti che l'individuo sia estremamente svuotato, ridotto a puro involucro di interessi di miserabile orticello, carriere, competizioni, acquisizioni: trovo insopportabile la visione dell'individuo meramente acquisitiva. In Africa tutto questo non c'è, o quanto meno magari è dichiarato: quello che mi vuole rubare la penna ce l'ha scritto sulla fronte che è venuto lì per quello, come la ragazza di sedici anni che mi avvicina capisco che vuole tre dollari per fare l'amore con me. Quindi tutto questo è quanto meno trasparente, mentre qui noi abbiamo delle schermature che là non ci sono. Il piacere per esempio di sostare a prendere il sole piuttosto che ballare (attività che trovo molto "antagonistica"), tutto quello cioè che ci aiuta a perdere tempo, a recuperare tempo per noi, recuperare espressività e linguaggio verso gli altri, mi sembra estremamente arricchente oggi, laddove normalmente il linguaggio e l'espressività sono soffocati da una pura relazione strumentale.

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