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INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 5 FEBBRAIO 2000

Questo dunque non consente di mettere insieme il povero ghanese che vive vendendo limoni di pessima qualità con il contadino musulmano di un altro paese: non c'è una possibilità di unificazione a questo livello o comunque è facile enunciare che la politica deve essere globale, poi farla è tutta un'altra cosa. Però mi sembra che queste organizzazioni, pur con i loro limiti e le loro modestie, abbiano, come me, poche pretese rispetto al fare e invece forti esigenze sul piano della ricerca intellettuale, sapendo però che quello che ricerchiamo non solo non lo vedrò io ma forse non lo vedranno neanche i nostri nipoti. Quindi c'è questa ricerca, mentre nella dimensione del fare è anche possibile ridurre le pretese, purché in cambio ci sia una maggiore domanda di efficacia: pretendo cioè che, laddove voglio agire, possa farlo anche più limitatamente, nel locale, pensando in qualche modo globalmente. Mi scuso per questa frase un po' imbecille, "pensare globalmente, agire localmente", ma è abbastanza vera, comunque ha una sua autenticità minima. Quindi mi piace spendermi in queste cose, che non hanno niente di direttamente militante: ho fatto per queste organizzazioni delle attività, delle pubblicazioni, anche due cd-rom per Mani Tese (un terzo lo sto facendo); quindi sia nel campo della nuova comunicazione multimediale sia in quello più tradizionale. Oltre al mio lavoro di professore di filosofia, faccio per queste organizzazioni anche corsi di aggiornamento e di formazione, inclusa quella nell'ambito delle scuole, degli studenti, dei giovani. Questa cosa in verità risulta sempre molto difficile perché tutte le volte che mi è capitato di andare a parlare nelle scuole ho sempre visto una grande ignoranza: magari a molti giovani piace il sub-comandante Marcos, che a me dice meno che zero, in quanto mi sembra già un'esperienza decotta e vecchia in partenza, del tutto improduttiva; mentre invece al di là di un generico solidarismo c'è poco dal punto di vista di esperienze dell'altro. La capacità dei giovani ad adattarsi ad un mondo globale mi sembra che sia più scarsa della mia. Al di là di curiosità o magari della facilità che oggi si ha nel contattare uno di Pechino in tre secondi attraverso internet, mi sembra che sia molto difficile trasformare i buoni sentimenti possibili. La maggioranza di noi ha cattivi sentimenti, sono prevalenti quelli egoistici o comunque di chiusura. In ogni caso i sentimenti contano poco, non sono di per sé molto politici, o comunque potrebbero essere un terreno per: ma oggi come oggi trovo anche i buoni sentimenti estremamente sterili. C'è bisogno di una maggiore dimensione di conoscenza e anche di razionalità, cosa che invece non vedo assolutamente assolta.
Mentre alla fine degli anni '80 ho partecipato ad alcune riviste come Marx Centouno, su argomenti come quello del nascente fenomeno leghista, successivamente ho decisamente spostato il mio campo di interesse fuori dall'Italia, come terreno osservativo mi interessano più le problematiche dei paesi africani, che mi hanno in qualche misura coinvolto. Ciò se non altro perché mi sembra di vivere comunque l'esperienza dell'Africa fatta non da turista becero, quello che va con "Avventure nel mondo" a fare dei safari e fa le fotografie agli uomini anziché agli elefanti, o agli uni e agli altri trattandoli tutti e due nello stesso modo, e poi torna a casa per fare vedere le foto agli amici. Io non faccio questo genere di turismo, ho sempre cercato di vedere persone che mi potessero introdurre dentro alla realtà sociale di questi paesi, o comunque vado con questa intenzione osservativa, di vedere l'agire degli uomini in queste dimensioni di miseria estrema e di forte disgregazione tanto nel mondo rurale come in quello urbano. In questi contesti la politica per ora non esprime niente. C'è un processo molto forte di degenerazione umana ed antropologica del mondo nero: prostituzione, elemosina, vita di espedienti. Ci sono insomma processi di sottoproletarizzazione, se vogliamo adottare una categoria che non va assolutamente bene ma permette in qualche maniera di avvicinarsi al problema. C'è comunque l'accettazione di uno stato di dipendenza a partire da una condizione di depauperamento interiore, di svuotamento culturale, di resa e di disperazione, rispetto a cui il rapporto con il bianco è soprattutto di tipo strumentale, legato all'immediato: "mi offri questa penna, io la vendo, posso mangiare e bermi una birra e per questa notte il problema della pancia è risolto, domani mattina cercherò un'altra opportunità"; oppure le donne diciottenni o sedicenni che ti accostano perché vedono comunque nel bianco la possibilità di un'opportunità di sbarcare il lunario. Molti vanno per fare del turismo sessuale, come tanti di quelli che vanno a Cuba. Anche l'Africa mi interessa dunque in questa prospettiva molto disincantata, non perché vi veda un'alternativa o un mondo diverso: anche se comunque il mio problema è quello di sentirmi a casa. L'avevo notato anche rispetto a questo documento: non mi è piaciuto, non mi appartiene dal punto di vista del linguaggio, anche della logica, c'è in parte un'estraneità neutra, in parte una distanza, nel senso che la mia esperienza è andata in una direzione parzialmente diversa, anche se non ho soffocato il problema del lavoro.

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