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INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 5 FEBBRAIO 2000

Ormai ero giunto alla convinzione, e ce l'ho tuttora, che in fondo le organizzazioni politiche non possono essere strumenti totali e globali: la politica può essere come un autobus su cui posso salire da qui a là perché mi interessa la data cosa, che interessa anche alle altre persone che salgono su questo autobus. Con queste persone possiamo dunque andare fino a là insieme, non pretendo di avere altro: se uno poi vuole avere di più io tollero quel di più che a me non interessa e l'altro può tollerare quel di meno che io non voglio metterci, o un altro di più che non c'entra assolutamente nulla. Ero insomma arrivato ad un'idea strumentale, di non starci nell'adesione ma, siccome mi interessava un progetto più piccolo ma forse più utile, non me ne fregava niente, non avevo un'onorabilità per cui dovevo dire sono stato in DP o in un'altra organizzazione, cosa che ritengo poverissima, arida, scarsissima. Anzi ciò potrebbe essere in un certo senso un esercizio di mortificazione, visto che tanto il mondo ci chiede di essere mortificati, un sacrificio identitario, tanto non è possibile che io esterni e rovesci nel mondo tutta la dimensione della mia soggettività: questo vale per tutto, dal rapporto amoroso a qualunque altra dimensione, la ricerca, la teoria, la vita ma anche la politica. Accettando quindi questo scarto e questa limitatezza del proprio fare (che in qualche misura inerisce all'esistenza), un rapporto puramente strumentale è accettabile anche con chi non ti piace al 100%. Quindi considerando non il lungo periodo ma l'immediato, sentivo la necessità di rompere quell'orizzonte estremamente stagnante, se non altro testimoniando nella città dove vivevo una contrapposizione forte rispetto a quell'involuzione e degenerazione della politica. Quest'esperienza si è chiusa, anche perché DP si è sciolta, è nato il processo di sconvolgimento dell'89, con la Bolognina e tutto il resto, sono dunque intervenuti tutta una serie di mutamenti. Nel '90 ho cominciato a interessarmi nuovamente alla politica locale: sono stato candidato al consiglio comunale per il PCI, rischiando di essere eletto. La cosa mi lusingava per certi aspetti (anche se per altri no), in quanto mio padre era stato assessore dopo la Liberazione, mio fratello era stato nel consiglio comunale, mio cognato è stato a lungo assessore alla cultura, il fratello del nonno di mio padre era stato consigliere socialista all'inizio del '900: io ero l'unico elemento della famiglia che non ero arrivato in questo consiglio comunale! C'era insomma questa linea di impegno nella città che mi gratificava. Pochi giorni prima delle elezioni ho avuto un infarto finendo in coma, quindi le cose sono andate in altro modo. Nell'inverno del '92 era poi nata una lista che aveva il nome La Rete, che sembrava essere in qualche modo un fenomeno nuovo, un po' fuori dagli schemi, meno ideologico: insomma, un autobus più fruibile. C'erano molti miei carissimi amici che avevano promosso questa lista, persone di grande valore sul piano umano, che magari venivano anche loro da Il Manifesto, che avevano fatto esperienze abbastanza vicine alle mie, se non altro generazionalmente; c'erano poi cattolici ed ex-comunisti molto stimabili, altre persone che magari non avevano avuto nessun impatto con la politica, e c'erano molti giovani. Questa lista prese quasi il 6%: io vi ho aderito, anche se non mi sono candidato, e l'ho sostenuta fino a che questa esperienza non si è rapidamente involuta, a quel punto me ne sono andato.
Tutto ciò sempre con una logica localista. Sono dunque stato attratto da una duplice prospettiva. Da una parte mi interessa il globale, perché alla fine degli anni '80 ho iniziato ad occuparmi di realtà del Terzo Mondo, ho iniziato a viaggiare in questi paesi (cosa che ho fatto soprattutto tra il '92 e il '97): sono stato in molti paesi africani, in Asia (Nepal, India del nord). Ho iniziato a lavorare con alcuni organismi non governativi, anche qui sempre con la logica di autobus: io non sono né di Mani Tese, né dei Fratelli dell'Uomo né del Coi, però queste organizzazioni per le quali lavoro, oltre ad offrirmi qualche opportunità professionale, comunque operano per uno spostamento dell'asse di giustizia nei rapporti tra Nord e Sud del mondo. Questa dimensione mi sembra cruciale, sia per un processo di ripartenza possibile di una domanda di maggiore equità globale sia perché forse è da lì che possono anche venire alternative per noi, perché nel momento in cui i paesi in via di sviluppo vorranno ottenere una fetta maggiore della torta anziché avere meno che le briciole, anche il nostro stesso sviluppo e la nostra stessa ricchezza dovranno essere poste in crisi. Il mio timore naturalmente è che questo comporti una chiusura corporativa del mondo occidentale in una difesa della ricchezza, però questa è la grande partita dentro alla quale tutte le altre vanno situate, se non altro per la dimensione quantitativa che riguarda un rapporto di persone di 1 a 4. Mi sembra che nel mondo ci sia una dualizzazione abbastanza forte, anche se questo naturalmente passa attraverso grossissime stratificazioni, elementi identitari, di ordine nazionale, religioso e culturale molto diversi. Il peso dei regimi politici è inoltre considerevole: l'Africa ha avuto dei pessimi regimi, la Cina di Deng è invece stata capace di governare un processo di riforme. Esiste quindi una specificità delle politiche di cui bisogna tener conto.

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