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INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 5 FEBBRAIO 2000

Questa figura mi è sempre piaciuta in questo senso, ho avuto un'ammirazione spontanea, anche pre-politica in un certo modo, comunque di una difesa identitaria che non era tanto quella dell'identità comunista, rispetto alla quale Brelinguer avrebbe potuto fare molto di più: quella che chiamava la spinta propulsiva della rivoluzione russa era definitivamente finita nel '56, non c'era più niente da fare, avrebbe dovuto avere molto più coraggio prima anziché restare subordinato ai consensi di Cossutta o di qualche altro vecchio stalinista, gli sarebbe decisamente convenuto sbarazzarsi di questi rottami che ancora sussistono in certi pezzi della sinistra. Quello che mi piaceva era un'altra cosa, questo senso forte del lavoro e del valore emancipativo dei suoi diritti: sembrava che fosse possibile una tenuta di questo elemento insieme classista e nazionale del PCI. Il Partito Comunista, per quanto avesse molti elementi ambigui, poteva tenere sia sul piano democratico, cioè di una tenuta delle istituzioni democratiche del paese, sia nello stesso tempo con una capacità di promuovere un'azione riformatrice di fondo nella società e con uno spostamento a favore delle classi lavoratrici in senso sostanziale. E' una cosa che poi non è avvenuta, ma mi sembrava che ci fosse questo indirizzo, per cui non dico di avere simpatizzato in senso aperto però sono stato a guardare e, se dovevo riferirmi a qualche cosa, era quel tipo di sinistra del PCI che osservavo per vedere se c'erano delle evoluzioni, compreso l'ingraismo, almeno in una certa epoca. Ho continuato comunque a lavorare con il movimento sindacale fino all'82-'83, sempre dentro all'ipotesi originaria, anche se il sindacato perdeva sempre più vitalità e diventava sempre più burocratico: infatti me ne sono andato proprio per uno scontro con uno di questi burocrati che un anno dopo ha rubato la cassa e si è venduto al padronato, e oggi gira con mercedes. Però le committenze che venivano fuori erano di altra natura, riguardavano cioè la storia del movimento operaio più che la ricerca a caldo dei processi produttivi, cosa di cui invece mi ero occupato nella prima metà degli anni '70. Questa cosa ha sortito anche alcune pubblicazioni, una sulla storia del movimento sindacale: il libro si chiama "La sindacalizzazione difficile", era edito da Vangelista, oggi non si trova più. Si trattava di un percorso nella formazione di una soggettività all'interno di una classe di recente formazione, che aveva una base contadina in loco più una base di immigrazione. Era un libro interessante, è stato anche valutato positivamente all'esterno, da storici dell'economia o dell'industria.
Smesso questo, ho fatto per un certo numero di anni il marito: nell'85, anno in cui ho divorziato, le cose sono cambiate, perché ho ritrovato con Romano Màdera e Carlo Formenti una pista più legata alla ricerca autobiografica, ed è un lavoro che facciamo ancora: ciò ha dato vita ad un gruppo di persone che si raccontano la loro esperienza autobiografica senza nessuna finalità di immediatezza, è semplicemente un lavoro fatto per sé e su di sé, però senza perdere in questa ricerca la dimensione dell'alterità, la dimensione collettiva o quanto meno del gruppo, dunque del noi. Quindi l'ambito della ricerca mia, ma anche di Màdera e Formenti, è andata in questa direzione, cercando in qualche misura una riflessione che riguardasse più che altro lo stile di vita, le modalità in cui noi spendiamo l'esistenza, non tanto nella loro politicità esterna, ma in una sorta di intrinseca politicità, nel senso più lato del termine. Ciò non riguarda né lo Stato né i poteri ma riguarda propriamente una ricerca di un'alternativa di esistenza che fuoriesca dai moduli inaccettabili del mondo capitalistico, per il quale nessuno di noi è minimamente portato o attratto: mi piacerebbe guadagnare di più per comprare un maggior numero di dischi, di libri o per viaggiare, ma al di là dell'esigenza di un numero maggiore di beni strumentali conformemente ai miei bisogni, non ho nessun interesse per questo ordine di vita, lo trovo assolutamente privo di fascino, al di là del peso costrittivo che poi invece tutto questo ha come pesante coazione e negazione della vita stessa. E' forse questo il centro contestativo e antagonistico su cui io porterei poi la riflessione come contributo "propositivo". Nello steso tempo la seconda metà degli anni '80 erano quelli imperanti del craxismo, poi di Tangentopoli, l'impantanamento radicale del PCI. Ho fatto una scelta molto controvoglia, dicendolo anche apertamente e pubblicamente, e questo anche Romano Màdera l'ha fatto, è stata una decisione che in qualche maniera avevamo preso insieme: abbiamo aderito a DP. Questo non perché DP ci piacesse, anzi devo dire che mi era proprio estranea, mi sembrava anzi rinsecchita, una forza politica morta: ma avevo bisogno di testimoniare con qualcuno che io non ce la facevo più, mi sembrava di avere una tomba addosso, mi sentivo fortemente schiacciato da un regime particolarmente oppressivo e con una sinistra tradizionale ormai chiusa in un'impotenza radicale, pur avendo ancora il 30% dei voti. Per cui mi sembrava di avere bisogno di uno spazio diverso dove poter manifestare il mio essere contro: non mi interessava il contenuto e il progetto, che mi erano estranei, ma la possibilità di raggiungere determinati fini concreti.

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