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> Una particolare esperienza di gruppo
(pag. 1)

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(pag. 6)

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(pag. 8)

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(pag. 9)

> Caratteristiche del gruppo e sincretismo antagonista
(pag. 12)
INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 26 APRILE 2000

Io penso che tra i momenti della vita nei quali si fa un bilancio di sé (poi i tempi possono cambiare) c'è quello verso i 18-20 anni, in cui uno fa il bilancio in rapporto alla famiglia, alla formazione e a quello che uno si progetta di essere, si domanda quali sono le proprie aspirazioni, cosa ci si sta a fare; poi c'è una fase intermedia, in cui invece la formazione è interamente compiuta, si fa un bilancio sugli ideali della giovinezza, ci si comincia anche a interrogare relativamente alle proprie capacità e risorse, che non sono più quelle esuberanti e velleitarie dei vent'anni, ma sono quelle che concretamente si sono messe alla prova. Accanto a questo c'era un dato generazionale che a ciò si associava molto strettamente: non è come se oggi si incontrassero dei ventottenni e facessero un bilancio dei propri ventotto anni, che sarebbe anche molto sfrangiato. Il campo delle esperienze oggi potrei immaginarlo come un grande prato, molto ampio in orizzontale, ma che non contiene verticalità, radici, come l'erba; il nostro magari era un campo più ristretto, nel quale c'erano abeti e pini, quindi poca varietà, però, nello stesso tempo, le radici in profondità e lo sviluppo in altezza erano decisamente più elevati. C'era una maggiore profondità, una maggiore intensità e una minore varietà; però, questa minore varietà era il campo della nostra esperienza comune. Queste persone che si incontravano insieme avevano dei passaggi cruciali comuni, come l'esperienza della militanza politica (campo comune con cui magari un ventottenne di oggi non avrebbe più possibilità di cimentarsi), oppure la ribellione alla famiglia, il rapporto con l'esperienza del femminismo, il rapporto con la cultura alta della tradizione di pensiero filosofico, politico o anche religioso, la letteratura; anche la psicoanalisi era un passaggio che accomunava molti di noi, nel caso di alcuni anche come esercizio e non solo come conoscenza teorica o perché per un certo tempo si era stati sottoposti ad analisi. Per sintetizzare, c'era una certa omogeneità e, all'interno, c'erano dei passaggi topici che accomunavano tutti e sui quali noi, sia per quel passaggio epocale sia per quel passaggio generazionale che ciascuno viveva, avevamo bisogno di condurre una riflessione. Nacque quindi questa idea di mettere in comune questa riflessione con un intento che, fin da allora, non era assolutamente politico in senso forte, e che non lo era per niente, non pretendeva nemmeno di essere un modello da esportare al di fuori di queste dodici o quindici persone: ci interessava in quanto vi vedevamo una sorta di varco che potesse, se non cambiare il mondo, in qualche modo arricchire, accrescere, trasformare anche noi stessi, quindi quanto meno renderci meglio padroni del nostro mondo, cambiare il nostro mondo e, di riflesso, il nostro sistema di relazioni, attraverso questa forma di coscienza o mutamento di orientamento della consapevolezza. L'idea principale da cui partivamo risale a Jung, ma viene fuori anche da certi aspetti del tema della modernità, la sua grande promessa, e si trova in parte nella tradizione del pensiero democratico più che non nella componente del marxismo, che ha anzi sempre sottovalutato ciò. Il concetto normativo che ci costituiva, il punto di riferimento, la bussola, era l'idea dell'individuazione: c'era un passaggio che rischiava di andare perduto tra lo schiacciamento dell'individuo sui modelli conformatori della società e il modello altrettanto conformatore (ma non tanto in senso di schiacciamento, quanto in quello di privazione) dell'astratta collettività, la riduzione dell'individuo all'ente collettivo della pratica del comunismo nell'esperienza del movimento operaio, che ci sembrava ovviamente da respingere. Anche per quanto riguarda il '68, pur contenendo degli aspetti che andavano in questa direzione, il suo nucleo forte non era tanto nella sua politicità, quanto nella rivendicazione (politicamente in qualche modo molto più anarchica che non altro) di una maggiore individuazione, di un pieno sviluppo della libertà anzitutto del soggetto, e anche quindi della singolarità. Naturalmente non si trattava di una singolarità asociale, ma di una singolarità che poi è anche in grado di riconoscersi nell'altro, nella forma della politica, in quella della classe o dei rapporti sociali, ma anche semplicemente nell'alterità di riconoscere la differenza dell'altro soggetto, un tema che senza dubbio il femminismo aveva posto in maniera forte; quindi, c'era un doppio livello dell'idea di altro come dell'idea stessa di sé, dell'identità, non solo di quella sociale, come elemento collettivo. Dunque, c'era questa idea che fosse in qualche misura possibile lavorare attorno a se stessi per cercare un varco che partisse fondamentalmente dalla comunicazione, intesa come comunicazione a ritmo lento, che è quella della parola, nel rapporto faccia a faccia, nell'interpersonalità, dove è in gioco anche una qualche comunanza di ordine affettivo, emotivo e relazionale, e non semplicemente una comunanza perché tutti e due condividono la presenza di determinati oggetti in un certo spazio, oppure di idee in uno spazio astratto.

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