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INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 26 APRILE 2000

Magari le opportunità sono anche molto più grandi, quando si parlava di internazionalismo cinquant'anni fa, lo spirito delle nazioni c'era ancora, i capitalismi avevano volti principalmente nazionali, i poteri erano nazionali e l'internazionalismo era un richiamo volontaristico, che poi era naturalmente legato alla solidarietà con chi è simile; oggi, invece, quella globale è anche una società dove l'internazionalismo non è più una proiezione della volontà, ma uno stato, un modo con cui noi siamo. Però, per porci all'altezza di una sfida così globale, siamo in un ritardo paragonabile a quello dei luddisti quando c'era la rivoluzione industriale, ci sono voluti 70-80-90 anni perché ci fosse un minimo di attrezzatura di un movimento operaio organizzato che rispondesse al potere capitalistico nella fabbrica. Oggi la possibilità di costruire un potere antagonistico a quello del blocco che governa i processi di globalizzazione è estremamente difficile, anche perché le culture e le stesse lingue non sono identiche: se voglio comunicare con un bambarà dovrò parlare una lingua franca, mentre i cartisti potevano parlare tutti lo stesso inglese. Quindi, ci sono dei ritardi molto grandi che pesano nella sfera oggettiva e che pongono in gioco anche un problema di sincretismo tra culture, perché un punto di partenza inevitabile è che un islamico si pone come tale, e io ho voglia di dire che è un brutto integralista, fanatico di Allah, mentre io sono l'erede di Voltaire: per lui Voltaire non significa niente, come si fa? Dovremo pur lavorare su un progetto comune accettando che io sono l'erede di Voltaire e lui è l'erede di Maometto, o il papa è l'erede di Gesù Cristo. Quindi, questa possibilità di riconoscersi è resa difficile perché, in verità, non abbiamo capacità di comunicazione tra culture. Però, per tornare al filo principale del discorso, l'idea di arrivare ad una società che è più debole dal punto di vista dei poteri è, secondo me, un processo abbastanza in corso, almeno per quanto riguarda i poteri nel senso delle istituzioni; mentre il marxismo lancia una parola d'ordine fantastica, cioè il deperimento della separazione tra società civile e stato e la dissoluzione dello stato nella società civile, lo fa in un'epoca in cui lo stato tende in verità a crescere nelle sue funzioni; l'utopismo radicale di Marx poi si scontrerà con questo, il leninismo, lo stalinismo e il maoismo sono andati esattamente nella direzione opposta e hanno costruito più e non meno stato, il comunismo realmente esistito è nato perché salvava degli stati in sfacelo e costruiva delle entità statali estremamente compatte. Per cui il marxismo è stato accantonato a favore di un'altra visione del mondo, che in realtà non era una visione filosofica, ma un processo che operava in senso forte nella società, oggi andiamo incontro ad un processo di riduzione. Trovo a volte triste che a sinistra, soprattutto in quella che dovrebbe essere più viva, invece ci sia ancora una forte nostalgia verso il ruolo e il peso forte dello stato, e che la visione del socialismo venga ancora affidata all'idea della proprietà pubblica, del potere pubblico dello stato. Questo magari semplicemente perché c'è la preoccupazione (non sbagliata, che anch'io condivido) di non farsi confondere per questa ragione con il liberismo: siccome non siamo in grado di vedere un'altra idea di società che accetti la riduzione dello stato e non sia nello stesso tempo liberista, per non essere liberisti finiamo ancora con l'essere nella trincea della difesa dello stato. Quindi, se noi ammorbidiamo queste strutture, nello stesso tempo possiamo pensare ad un processo anche secolare, che nessuno di noi vedrà, che vada incontro ad uno scambio di giustizia tra Nord e Sud del mondo e che la globalizzazione faccia emergere dei soggetti in grado di mutare l'assetto capitalistico della società globalizzata. Però, secondo me, la dimensione vera della libertà ultima è nell'autodeterminazione delle nostre vite, e non nella sanità pubblica, anche se poi certamente questa facilita l'autodeterminazione. Però, non è la conquista oggettivata di una cosa o di un diritto che pone poi in condizione di realizzare un vero esercizio. Questo è un messaggio oggi largamente utopico, e forse proprio perché tale è, secondo me, antagonistico nel senso che ho detto.

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