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(pag. 9)

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(pag. 12)
INTERVISTA A VALERIO CRUGNOLA - 26 APRILE 2000

Quindi, c'è l'idea che questa sfera di riflessione autobiografica abbia a che fare con una politicità che è intrinseca al fatto che tu comunque conduci una vita che, anche se è in silenzio, se ha questo carattere di sperimentazione di élite silenziosa, invisibile ai più o invisibile tout-court, completamente, è pur sempre antagonistica rispetto a modelli imperativi e, in questo senso, totalitari, per questa loro meccanica imperatività nell'ordinamento sociale dominante. E' un po' questa la politicità, che non implica da parte di nessuno una volontà di agire politico, ma è politico l'agire quel tipo di vita, di esistenza. Essendo sincretica, può anche comprendere il fatto che poi uno voti il Partito Popolare mentre un altro voti Rifondazione; dunque, non implica assolutamente nessuna condivisione a livello di scelte nella sfera politico pratica, in quanto questa politicità lascia poi a ciascuno addirittura di essere agita in forme politiche assolutamente diverse, altrimenti non saremmo più sincretici. Quello che ci interessa è che ci siano dei momenti condivisi di ricerca; quella che voi chiamate conricerca è una prova che si adatta benissimo a quello che stiamo facendo. Poi, una ricerca non necessariamente comporta per tutti lo stesso sbocco ed esito nell'agire di ciascuno. In fondo, questa idea presume un'idea di società liberata: quando Marx, forse un po' sognando, descrive una società nella quale ciascuno alla fine sarà libero di fare il pescatore o il critico d'arte o l'operaio o il farmer, è in verità una meta che merita di essere ripresa. Forse non può essere ripresa nell'ordinamento della società in quanto coatto e oggettivato, ma sicuramente lo si può fare in una società dove c'è un così tale spazio di libertà, nell'ordinamento politico ma anche nelle strutture del produrre e del lavorare, che consenta poi a ciascuno di autodeterminarsi nella sfera forte della sua identità; ciò non è il lavoro, l'oggettivazione, ma è la sfera qualitativa della vita activa nel senso della Arendt, piuttosto che nel senso della sapienzialità classica, che il tempo per sé è il tempo per la vita buona, per le domande attinenti alla propria felicità, al proprio senso, anche poi nel rapporto con la natura, con il corpo, con la vita fisica, con la morte, con Dio, ossia tutte le grandi domande di senso. L'idea è che questo possa essere una sfera del comunicare tra soggetti liberi che presuppone magari non la società liberata dal bisogno in senso assoluto, come era quella vagheggiata da Marx, ma di soggetti che, avendo comunque una minore pressione del bisogno, possono spostare l'ottica del loro guardare sé da un'identità puramente economico-sociale ad un'identità più ricca, interiorizzata e soggettivata, che poi si riverbera anche sulle domande relative al proprio lavoro, al modo di consumare le merci, le cose, gli oggetti in modo diverso. Però, il rapporto è in qualche modo capovolto: è la soggettivazione intenzionale, l'atto fenomenologico con cui ti rapporti agli oggetti, che muta la significanza, non è l'ordine degli oggetti che colloca il tuo significato e stabilisce il tuo significare. In questo senso, si recupera un'idea di libertà che è molto più classica e, in qualche modo, si restituisce anche una dimensione alla soggettività che non è semplicemente il riflesso coscienziale dell'ordine delle cose, come invece è stato per lungo tempo nella tradizione del pensiero scolastico del marxismo cosiddetto tale, o comunque di quello che è stato il marxismo reale indipendentemente dal pensiero di Marx. Questo, secondo me, è interessante, nel senso che presuppone anche un'idea di società liberata che non sta tanto nella sfera del potere, della politica, dello stato, cioè di conquista di un certo potere o di un certo ordinamento sociale, ma di conquista a partire da un ordinamento politico e sociale morbido, dove c'è meno stato, meno autorità, anche meno economia, meno pressione dei bisogni, ovviamente nel senso che potremmo vivere con meno e meglio per tutti. C'è poi tutta la questione di qual è l'ordinamento sociale confacente non per me, ma per sei miliardi di esseri umani, e ciò ovviamente pone delle interrogazioni che, a questo livello, non hanno risposte, che richiedono di nuovo l'alta politica e un impegno conflittuale anche molto maggiore di quello che abbiamo vissuto in questo ultimo secolo, perché le sfide sono molto più grandi oggi, nella società globalizzata, che non quelle del comunismo o della democrazia o dello sviluppo. Oggi questa è una sfida che riguarda il destino dell'intero pianeta, e anche la sua costruzione è molto più complessa.

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