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INTERVISTA A DARIO CORBELLA - 28 MARZO 2000
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Che ruolo attribuisci alla militanza, soprattutto in un momento in cui molti parlano di una crisi, della fine di un modello o addirittura della sua fine tout court?


Io credo che la militanza sia fondamentale, intesa sia come studio e approfondimento delle analisi dei classici, sia come lettura attenta della realtà della diffusione del sistema capitalistico nel mondo, ossia quello che passa sotto il termine di mondializzazione. E credo che sia fondamentale anche dal punto di vista proprio della militanza, per cui dell'informazione, della contro-informazione e dell'organizzazione capillare, per quanto possibile in una fase come quella che stiamo attraversando, che è controrivoluzionaria, per cui con rapporti di forza estremamente sfavorevoli al proletariato. Però il ruolo dell'avanguardia di classe e della parte più cosciente è quello di mantenere la memoria e comunque di costruire l'organizzazione, anche in una fase di arretramento e di debolezza.


Parliamo del nodo dell'organizzazione, ripartendo e attualizzando l'analisi delle ricchezze e dei limiti dei percorsi di cui hai fatto parte negli anni '70. Molte volte quando si parla di organizzazione non si guarda alla complessità e alla profondità di tale categoria, ma si pensa (in maniera semplificatoria e distorta) alla banale riproposizione di vecchie forme e modelli partitici.

Attualmente, nella rilettura che sto facendo io, anche rispetto a quello che dicevo la volta scorsa, evitare e superare la visione soggettivistica della politica per me vuol dire anche rivedere il concetto di organizzazione all'interno dei rapporti di forza complessivi che la classe sviluppa. Per cui, in questo momento, per me organizzazione vuole appunto dire approfondimento teorico, studio, analisi della situazione e lenta costruzione, ossia tessere quella tela di relazione all'interno dei soggetti più coscienti. In questa fase porsi da una parte l'obiettivo del costruire adesso un'organizzazione, un partito rivoluzionario, e dall'altra parte l'obiettivo di percorsi di lotta che vadano ad incidere nella realtà sociale, rischia di essere fuorviante, perché in realtà non se ne ha la forza: allora si rischia di percorrere ancora strade sostanzialmente di soggettivismo. Nelle esperienze che oggi guardo (dall'esterno, nel senso che non le vivo in prima persona) mi sembra proprio di vedere un po' la ricerca spasmodica del fare qualcosa per stare all'interno delle presunte dinamiche sociali, ma come forzatura soggettiva. Secondo me, invece, questo è assolutamente da evitare, nel senso che, come dicevo la volta scorsa, quando si daranno le condizioni favorevoli alla costruzione di un'organizzazione proletaria che si confronti con il potere di classe, con la borghesia, in quel momento si porrà anche il problema della forma dell'organizzazione. Adesso, secondo me, è prematuro.


Bisogna però considerare il fatto che il capitale è riuscito a imporsi e a incidere così profondamente sulla soggettività di classe, che quel sistema di culture, bisogni, comportamenti appare completamente piegato e indirizzato all'interno della funzionalità dello sviluppo capitalistico. Come pensi, dunque, che possa essere invertita questa tendenza? Non pensi che sia fondamentale agire in questo senso?

Intanto io credo che ci sia bisogno di restare il più possibile legati ad una visione di classe delle questioni. Quando si parla di soggettività, bisogna sempre cercare di riferirsi a quella di classe, perché tutte quelle letture delle realtà sociali che passano per altre categorie, come, ad esempio, il giovanilismo o le controculture, e che però in realtà prescindono da una lettura di classe della società, portano a delle analisi sbagliate; per cui ci si costruisce un concetto di soggettività d'avanguardia autoreferenziale, che in realtà poi non c'entra invece niente con le dinamiche di classe che si danno realmente nella società.

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