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INTERVISTA A GIOVANNI CONTINI - 7 SETTEMBRE 2001


Poi non ci sono libri sulla soggettività del lavoro giovanile frammentato, ad esempio; in quegli anni là uscivano testi come quelli di Danilo Dolci sui contadini, di Rocco Scotellaro sempre sui contadini, poi altri sugli immigrati, sugli operai. C'era tutta l'inchiesta che ha preceduto la nascita dell'operaismo, si pensi a Montaldi, questa inchiesta sulla società, la sociologia politica, la conricerca. Tutto questo non c'è e sarebbe molo interessante che vi fosse. Io faccio ricerche sulla piccola impresa (e mi pagano per questo, è il mio lavoro), scopro dei mondi che non sospettavo. Sono dei mondi del tutto non conflittuali, se si vuole, e non credo rappresentativi, però sono molto interessanti. Ci sono dei rapporti tra operai e padroni che sono cambiati moltissimo in quella situazione. Proprio oggi, dove sono andato a fare le interviste, c'era un giovane figlio del padre che era operaio e diceva che la fabbrica padronale non funziona più, perché nessuno può dire "tu fai così", in quanto si sa che lui ne sa più di te: ciò è quindi anche basato su una nuova professionalità che si è formata nell'informatica, che non c'era prima ed ora c'è. Ci sono delle cose che io arrivo difficilmente a capire: c'è l'operaio che è lì, ha il computer e programma le macchine secondo gli schemi che gli sono arrivati, però poi questo stesso operaio viene incitato dall'azienda a programmare anche quello che poi un altro dovrà controllare, e alla fine a fare il progetto. Quindi, questo qui è un operaio? Forse per il salario, ma loro guadagnano il doppio del normale. Ovviamente è chiaro che le associazioni di categoria ti pagano le ricerche quando dietro ci sono queste situazioni, perché viene fuori un'immagine dell'impresa che è molto bella, sembra una specie di falansterio, la realizzazione di una sorta di socialismo utopistico. Poi ci sono invece quelli che fanno tutt'altro, anche semplicemente quelli che prendono degli stampi e ci fanno 500 miliardi di bottigliette di plastica, e allora qui è tutto un altro discorso. Ma nessuno lo sa, a nessuno gliene frega nulla, non so nemmeno se i sindacati ne siano a conoscenza. L'altro giorno, per esempio, nell'ambito di una ricerca sui delegati sindacali c'è stato un incontro a cui erano presenti tutti i vecchi tromboni che conoscevo dagli anni '60 di Firenze, queste cose non mi interessano granché. Mi ha invece interessato vedere come un giovane delegato, un ragazzo di 28 anni, non sapesse niente della storia sindacale della sua fabbrica, del suo settore, della sua categoria: era un delegato sindacale, non uno a caso, cascava proprio dalle nuvole. Diceva: "io faccio il delegato sindacale alla Pignone perché ci credo", di nuovo, è l'impegno antiglobal che ti porta a fare il delegato sindacale; "però, da noi in effetti fare un discorso salariale è difficile, perché c'è un numero enorme di persone che ha dei salari che sono tre volte quelli sindacali, per cui cosa facciamo?". Ciò in quanto sono legati alle mansioni, a vari parametri, per cui di fatto prendono stipendi che sono tre volte i miei, viene da pensare che forse è l'unico settore che è rimasto simile al pubblico impiego, ma è fatto notoriamente da persone che lavorano da poco. Però, su questa cosa ci si potrebbe pensare un po'.


Quali sono stati i tuoi numi tutelari nell'ambito della tua formazione politica e culturale? Quali sono le figure e gli autori che possono essere più utili nella lettura dei nodi aperti nel presente?

Per quanto riguarda la mia esperienza, io a quei tempi là ero molto piperniano, però oggi non direi proprio. Poi avevo letto il Tronti di "Operai e capitale", mi era piaciuto, ma certo è un bel manifesto molto ideologico ripensandoci oggi. Io devo dire che tenderei più a rivalutare l'esperienza che non i maitre-a-penser. Retrospettivamente Sergio Bologna mi sembra uno che avrebbe potuto dire delle cose importanti, però era un po' timido: mi ricordo che era interessante starlo a sentire, però era piuttosto schivo. Per quanto mi riguarda devo dire che dopo questa esperienza fui molto colpito dai Montgomery e da questi storici della classe operaia americana, che sono radicali ma hanno una fortissima attenzione al dato empirico della classe operaia. E' per esempio importante "The making of the english working class" di E.P Thompson. Più che dai teorici dell'operaismo che conoscevo allora, sono rimasto colpito e legato a questi studiosi della classe operaia americana e inglese che mi piacevano perché avevano questa dimensione empirica. Mi ricordo che una volta Gian Maria Cazzaniga definì gli operaisti italiani i giovani hegeliani del capitale collettivo: era cattiva come affermazione, però l'approccio di un E.P Thompson non c'era molto. Lì c'è l'idea di questa classe operaia che viene fuori nel suo farsi, non è qualcosa che è già prevista, questa cosa che cresce facendo delle esperienze e imprevedibilmente diventa la classe operaia.

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