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INTERVISTA A GIOVANNI CONTINI - 7 SETTEMBRE 2001


E poi c'è il problema dell'introdurre Dna proveniente da animali sui frutti, il cavallo dentro la fragola... Su tutte queste cose probabilmente c'è anche bisogno di un supplemento di informazione e di convincimento. E' anche una dimensione molto interclassista alla fin fine direi: certo, ci sono interessi sulle multinazionali farmaceutiche, ma chi sono? Non l'ho mai incontrata io personalmente. E' un movimento particolare, molto diverso dal classismo della nostra giovinezza. Io sono un po' disinformato, però vedo che qui ci sono tutta una serie di punti molto concreti, e mi sembra che questa concretezza sia un grosso elemento di forza. Certo che poi la gestione della manifestazione di Genova dimostra anche la grossa debolezza, perché poi bastano quattro che vanno a spaccare le vetrine per mobilitare la polizia e suscitare quello che c'è stato. Evidentemente la polizia non è stata geneticamente modificata, e quindi ritorna fuori in queste forme con grande sorpresa anche mia: infatti gli slogan mi hanno sorpreso, con questa polizia fortemente autoritaria e quindi succede il casino. Non mi sembra che sia un gran successo come sono andate le cose a Genova, credo che adesso un sacco di gente avrà paura e non ci ritornerà; c'erano molte persone che erano lì per i motivi più strani e magari potevano essere persuase a compiere un processo di maturazione politica, ma non certo essendo bombardata dagli elicotteri con i gas urticanti.


Nell'oggi, secondo te, quali altri nodi aperti emergono dall'analisi critica delle esperienze operaiste?

Un elemento molto importante dell'operaismo è costituito dal fatto che capì come funzionava la fabbrica, quindi il lavoro, e anche quali erano gli obiettivi che in modo ancora poco esplicito gli operai cominciavano a porre, quali erano i problemi. Dunque, è un discorso molto su quella che noi chiamavamo la composizione di classe, che poi si può anche chiamare l'antropologia e la sociologia del lavoro. Questo è un terremo che oggi come oggi rimane tutto sommato abbastanza misterioso, non mi risulta che ci sia molta gente che studia quello che pensano e dicono gli operai. Io ora sto facendo una ricerca sugli stampisti, e questi non sono più neanche operai, si danno grandi pacche sulle spalle con i padroni, si occupano di cose fatte al computer, si divertono molto. Però, non credo che loro siano rappresentativi, infatti mi sono simpatici i padroni stampisti che sono ex operai e si divertono a fare questi pasticci meccanici, lavorano tantissimo. Però, c'è tutta una fascia sommersa di cui anche la sinistra parla sempre più come manovalanza, queste famose figure che devono cambiare sempre il mestiere perché se no il sistema non funziona. Questi qui come la pensano, cosa dicono? Immagino che siano dentro questo movimento atiglobal, e magari si mobilitano soprattutto sui grandi temi dell'ecologia, del debito estero, dell'Aids in Africa, sul monopolio dei farmaci da parte delle multinazionali: questo è un buon segno, sono le cose che agitano e appassionano anche queste persone. Probabilmente loro hanno dei problemi concreti che li portano a veder con maggior rapidità una tale situazione; ciò oltre al fatto che sono giovani e quindi sono più interessati in generale alla politica e alle sorti del mondo perché sono destinati per ragioni evidenti a vivere più dei vecchi. Forse una cosa che potrebbero fare è cercare di vedere (come quando prima parlavo di forme di prefigurazione nell'oggi) cosa fare anche nell'ambito della loro attività lavorativa. Gli va davvero bene continuare a fare voli pindarici, un giorno il distributore di pizze e l'altro il programmatore di computer? Oppure no? Forse sì, ma magari gestendoli in un altro modo. Questo è dunque un altro tema che io vedo. Non credo che si arriverà mai più a porre la questione del lavoro con quella forza che aveva all'interno dell'analisi operaista, anche perché la classe si è frammentata, è diventata più vecchia da una parte, dall'altra è diventata instabile e non più fisa quando è giovane. E poi perché sembra appunto che l'interesse politico vada più alle grandi questioni mondiali, i grossi problemi di politica e di etica, che non al problema della propria concreta sopravvivenza e del proprio concreto lavoro. Però, certo su questa cosa qui non si sa molto, tranne gli scritti più giornalistici, che ogni giorno cambiano, in cui c'è una sostanziale mancanza di analisi. Sarebbe importante avere una mappa anche soltanto del lavoro giovanile, sapere qual è l'incidenza del lavoro degli extracomunitari nella varie aree e regioni. Manca quindi un lavoro come prima cosa semplicemente informativo, poi magari c'è e io non lo so, ma non credo.

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