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INTERVISTA A GIOVANNI CONTINI - 7 SETTEMBRE 2001


Allo stesso tempo dentro ci sono i cattolici, c'è tutto questo associazionismo cattolico impegnato che a me non è che faccia impazzire. Credo comunque che sia un movimento che andrebbe analizzato, io ne so poco. Però, mi sembra che i temi in ballo siano temi che vanno nella direzione della politica, e proprio di una politica che ha delle tappe intermedie, se no non si capirebbe la crescita. Si pensi al '68: perché ebbe questo successo? Perché voleva delle cose precise, ad esempio: "non vogliamo più che i professori siano queste merde che ci hanno rovinato la vita fino ad oggi". Io mi ricordo delle cose terribili, robe da suicidarsi da quanto erano tremendi. Quindi, c'era la cultura beat, noi andavamo a scuola vestiti come pappagalli, ci torturavano in un modo sadico, e ad un certo punto si è detto basta: il grande successo è stato quello lì. Allo stesso modo dentro le fabbriche c'era il discorso di condizioni di lavoro assolutamente insopportabili, così questa nuova ondata libertaria ha fatto cortocircuito con quelle situazioni e ha prodotto quello che c'è stato. Poi nelle fabbriche c'erano anche questi operai meridionali con certe esperienze pregresse, che avevano delle condizioni di vita di merda. Oggi mi pare che ci sia meno la reazione immediata a un'ingiustizia e ad una sofferenza che ti fanno patire, e più un'azione maggiormente meditata rispetto alle prospettive del lavoro, della vita. Si pensi a tutta questa vita fatta di lavoretti precari che sembra una gran meraviglia: io non sono giovane per fortuna e ormai questo problema non mi tocca, però ho un figlio e se non è per lui è per i suoi amici, in ogni caso tocca tutti quelli che hanno la una età. Questi sono problemi che riguardano tutta la vita, sono problemi di prospettiva. E l'altra cosa è il discorso ambientale. Però, secondo me questa situazione avrà bisogno proprio di una prefigurazione: quello che noi avevamo aristocraticamente rigettato credo che oggi sia la cosa che si pone all'inizio di questo processo di nuova radicalizzazione e di nuova politicizzazione. Qui si tratta anche di cambiare i comportamenti, quindi legare la trasformazione collettiva a quella personale. Io penso che un certo discorso anticonsumistico vada fatto, bisognerà trovare il modo di farlo senza farlo da cattolici: non perché se no si va all'inferno, ma perché se no si crepa tutti.


In questo quadro come analizzi il rapporto movimenti-progettualità? Da una parte sembra esserci chi pensa che tutto si produrrà dal basso, più o meno spontaneamente, quindi c'è un certo rifiuto di un possibile discorso sul progetto e sui grandi obiettivi. Dall'altra c'è chi cerca di usare questi movimenti nell'ottica di una politica intesa come gestione istituzionale, senza un reale percorso di interrelazione progettuale. Nell'un caso e nell'altro viene piuttosto trascurata la questione del politico inteso come progetto di trasformazione.


Io sono un po' troppo esterno. Una cosa che mi ha colpito è questo movimento che nasce attraverso Internet, improvvisamente gente che non ci aveva mai pensato si coinvolge. Quel poveraccio che è morto a Genova era un amico di un amico di mio figlio, pare che fosse un tifoso di calcio, parecchio fricchettone, che alla politica non ci aveva mai pensato, si è trovato dentro questa situazione. Ciò è emblematico. Qui forse il problema è quello di riuscire a inventare delle forme di socializzazione, non dico la comune perché è una cosa assolutamente datata, ma delle forme che tengano insieme gente che sta dentro questo movimento e si collega a una prospettiva di lungo periodo, però già comincia a fare i conti con dei comportamenti quotidiani diversi, dal tipo di lavoro che uno sceglie al rapporto con il consumo. Di questo ne parlavo anche con Paul Ginsborg, è una cosa che sembra utopistica però non lo è, perché poi è convincente, si dice: "se si continua in questo modo qui, se altri 20 paesi arrivano al livello di sviluppo nostro è un disastro". Probabilmente si va verso una forma abbastanza catastrofica in tempi piuttosto brevi: bisogna poi vedere se questo è vero, io non sono sufficientemente esperto per dirlo. Ho l'impressione che lo sia, perché sento e leggo delle cose che mi paiono convincenti. Ad esempio, sulla questione dei cibi geneticamente modificati, io per un periodo pensavo che si trattasse di una specie di neo-oscurantismo; però, ho parlato con dei normali agronomi che, in un modo del tutto non politico, semplicemente constatando un dato di fatto, mi hanno detto che facendo queste cose all'aperto si mettono in moto tutta una serie di ibridazioni incontrollabili, e quindi veramente non si sa poi cosa può succedere, che risultati può produrre. E' vero che noi siamo tutti il risultato di modifiche genetiche, però distribuite dentro millenni e milioni di anni e non in un così breve periodo.

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