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INTERVISTA AD ANDREA COLOMBO - 15 OTTOBRE 2001



Sono d'accordo su quanto tu dici, perché comunque il capitale ha una dimensione politica che è estremamente forte. Quello che affermi a proposito del riformismo e dei DS, si può vedere anche all'interno del Genoa Social Forum, ad esempio: c'è stato un tentativo solamente di amministrare un qualcosa che poi in realtà gli è scoppiato in mano. C'è infatti stata poco la capacità di prevedere che a Genova sarebbero confluiti vari elementi: non solo il discorso del G8, la continuità con Seattle, Praga, Göteborg ecc., ma anche la prima risposta al cambio di governo, che ha sicuramente avuto un peso sulla riuscita quantitativa dell'evento. L'11 settembre e quanto successo dopo sono sicuramente dei bastoni tra le ruote di un movimento che stava crescendo; purtuttavia c'è stato fino a questo momento uno spiazzamento e una difficoltà nel fare i conti con la nuova situazione. C'è un balbettare e rimasticare vecchi slogan e posizioni terzomondiste, antiamericane, pauperiste ecc.; non c'è un ragionare sul come cambia e cambierà la realtà qui dove siamo, in Occidente. Se assumiamo l'ipotesi che le lotte vengono fuori non dalla depressione ma su un livello di ciclo avanzato, in cui acquisti forza da una simile dimensione, allora ci sono delle difficoltà oggettive per un discorso di movimento.


Per il movimento la guerra è stata un disastro, perché ha cambiato e spiazzato tutto. Io non so se mi illudo, però quello che spero è che ad una prima fase di spiazzamento ne segua un'altra differente. Secondo me, le persone avvedute già l'11 settembre sera sapevano che tutto era cambiato, in particolare per ciò che riguarda il movimento e il dopo Genova, e che sarebbe arrivata una fase più difficile. Non è escluso che, se questa cosa continua e prosegue nel tempo, si trasformi nel suo contrario. La prima reazione è stata esattamente come quella che descrivete voi, cioè pessima, piena di evocazioni terzomondiste, antiamericane nel senso più scemo del termine ecc.; vivere sarà più difficile, perché questi saranno più nei guai. Segnalo però una cosa in più, che secondo me è quella più grave: è passato ancora poco tempo, però è vero che il movimento non vi ha ancora iniziato a guardare, almeno a Roma. Veicolata dalla guerra, gli americani stanno rispondendo ad una crisi che in tutta evidenza avevano già da prima; noi ci troviamo con un movimento che è cresciuto sulla lotta al neoliberismo e che tra poco non avrà più il nemico, perché questi invece usano la guerra per scaricare quel tipo di neoliberismo e reintrodurre una sorta di keynesismo di guerra. Infatti, il movimento, più che discutere se prendere a ceffoni D'Alema (e poi non prendercelo, peraltro...), dovrebbe misurarsi su questa dimensione. Alcune cose vergognose e puramente di facciata, come l'appoggio ai palestinesi, il discorso di Berlusconi ecc., in termini geopolitici non è vero che non significhino, ma ci riguardano fino ad un certo punto; però, sono lo specchio di quello, cioè di una rapidissima riconversione che probabilmente avrebbero dovuto fare comunque. L'altro elemento su cui bisognerebbe lavorare, ma è una cosa su cui questo movimento ha lavorato sempre poco (c'è a proposito un buon testo fatto dalla Manifestolibri), riguarda il come questa dimensione incentiverà i sistemi di controllo e repressione, che sono non diversi ma completamente opposti a quelli fordisti, proprio contrari. Non sono panottici, quelli che tendono a escluderti e a dire "vai fuori e fai quello che ti pare, purché non entri nelle mie enclave protette". Su queste cose mi pare che il movimento, soprattutto a Roma, sia sempre stato in una situazione pessima. Per quanto riguarda quello che dicevate rispetto al prima di Genova, penso che lì ci sia stato un errore clamoroso fatto da una parte del movimento (Padova, per dirla in una parola) che è costituito del rapporto con le istituzioni, con Bettin, con i verdi, lì vedo i rischi. Quando dicevo prima che l'esodo è un'intuizione ma non precipitata, è perché poi la sua declinazione concreta diventa piccola imprenditoria di movimento. L'esodo l'abbiamo tirato fuori per primi noi nel primo numero di Luogo Comune, nel '91, e certo non avevamo in mente neanche vagamente una situazione di centri sociali che diventano piccola imprenditoria appoggiata dai partiti di sinistra; però, spesso quella è stata la copertura teorica di questo. La realtà è che l'esodo senza conflitto operaio non può che essere questo, proprio pragmaticamente. Per questo anche Paolo, che è stato il primo a puntare fortemente (anche troppo) sull'esodo, oggi è quello che più di tutti dice che se non troviamo una forma alternativa allo sciopero è inutile che ci muoviamo.

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