>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale e inizi dell'attività militante
(pag. 1)

> Limiti e ricchezze dei movimenti e dei percorsi operaisti
(pag. 1)

> Ipotesi sull'operaismo e il nodo della politica
(pag. 2)

> Rapporto movimenti-progettualità
(pag. 3)

> La costruzione di Genova e i media
(pag. 4)

> Autori di riferimento oggi
(pag. 5)

> La politica e il politico
(pag. 5)

> Genova e 11 settembre
(pag. 6)
INTERVISTA AD ANDREA COLOMBO - 15 OTTOBRE 2001


Sono da mettere insieme tanti tasselli che però non formano ancora un disegno compiuto, anche se ci sono. Quello che ritengo valido dell'operaismo è che secondo me il punto di coagulazione, quello che permetterebbe o permetterà a questi tasselli di comporsi in una prospettiva politica, è rappresentato dalle lotte della nuova classe operaia, perché alla fine non si può mai dare un progetto politico a una cosa che non c'è, o che ancora non c'è. Quindi, l'ordine va in qualche modo invertito: prima questa classe operaia (che non si chiama così ma che lo è, flessibile, precaria, con contratti a termine, che magari si sente addirittura imprenditrice di se stessa, creativa, ma invece è classe operaia) trova quello che si può definire l'equivalente dello sciopero, come dice Paolo Virno, e quindi qual è la lotta continua, non la grande esplosione come Genova, ma quotidiana, sul potere; poi, una volta che è stata trovata (e la trova chi lavora, non gliela si dà con le riviste o con le fanzine), quella mobilitazione può fare da elemento di precipitazione per i tasselli che noi continuiamo a tirare fuori, alcuni sono validi e altri no, però senza quell'elemento lì restano come tante cose scollegate. Una volta che ci fosse (e io non ho dubbi che ci sarà, però il quando è un altro discorso), una volta che quella classe operaia si muovesse e quindi trovasse questo elemento, allora si darebbe la precipitazione. La cosa paradossale è che, essendo cambiato il sistema di fabbrica, devono cambiare anche gli strumenti di lotta e di mobilitazione, quindi ti trovi nella difficoltà davvero inedita da almeno 200 anni di dover inventare delle forme di lotta. Una volta che le hai inventate, allora tutti quegli elementi che da diverse fonti e diversi luoghi di ricerca sono stati messi in campo, diventano un progetto e una prospettiva politica; altrimenti, per il momento sono analisi e ricerca, ma prospettiva politica no. Anche se poi con l'entusiasmo della situazione uno può dire che i forum sono la forma della democrazia non rappresentativa, ma questo non è vero naturalmente: i forum sono tutt'al più un'allusione di un'allusione di un'allusione di questo. Però, è vero che se ci fosse quell'elemento di precipitazione, i forum diventerebbero un'altra cosa. Quindi, Genova è insieme un'enorme ricchezza e un'enorme limite. Un'enorme ricchezza perché è stata una vera cosa di movimento per la prima volta negli ultimi vent'anni, e non stroncata: la cosa enorme è che per la prima volta non è stata stroncata nelle 48 ore seguenti dal ricatto del prototerrorismo e della violenza, che è l'arma che è stata usata dall'80 in poi. Dunque, c'è una cosa molto importante; allo stesso tempo, se non diventa continua, cioè se non si trasforma in un qualcosa capace di fare la lotta nei luoghi di lavoro, ha poca prospettiva e poco futuro.


Tu che lavori in un giornale, come analizzi il rapporto esistente tra la costruzione di Genova come movimento e come partecipazione e i media?

Enorme, prezioso e pericoloso. Prezioso perché Genova è stata Genova, lì poi c'è anche un ruolo della violenza di piazza effettivo: Seattle senza scontri non sarebbe stata Seattle, lo stesso vale per Göteborg e per Genova. Non perché ci sia un'importanza in sé dello scontro di piazza, a differenza di quello che succedeva 20 o 30 anni fa; ma perché quello ti permette di diventare una cosa mediatica. Insomma, Genova l'hanno costruita il Genoa Social Forum e il Corriere della Sera. Io ero al mare nei giorni della mobilitazione, quindi seguivo tutto attraverso i giornali: il Corriere ha aperto su Genova tutti i giorni a giugno. I media sono importanti, bisogna saperli usare. Infatti, i padovani continuano a cercare di fare scontri finti, mediatizzati (poi a Genova non gli è risuscito, in altre occasioni notoriamente sì) perché bene o male una conoscenza dei media ce l'hanno, e quindi sanno che alcune cose vanno fatte, poi cercano di minimizzarle, anche se a Genova non ci sono riusciti. Tuttavia, questo è anche pericoloso, perché un movimento fortemente mediatico ha più difficoltà a diventare quello che deve diventare. Il limite del movimento di Genova (cosa che credo abbiano detto proprio tutti, di tutte le aree) è il contrario dell'operaismo di Tronti, cioè il fatto di muoversi a ruota degli appuntamenti degli altri: grandi scadenze, tu ci vai, però questo con tutta evidenza regge poco nel tempo. La forte mediatizzazione non facilita la trasformazione del movimento in un movimento pervasivo e diffuso, capace di fare il conflitto quotidiano: ti lega cioè alla forma della grande manifestazione di risposta e non a quella dello sciopero e del suo equivalente quotidiano, ancorché duro, violento ecc.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.