>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale e inizi dell'attività militante
(pag. 1)

> Limiti e ricchezze dei movimenti e dei percorsi operaisti
(pag. 1)

> Ipotesi sull'operaismo e il nodo della politica
(pag. 2)

> Rapporto movimenti-progettualità
(pag. 3)

> La costruzione di Genova e i media
(pag. 4)

> Autori di riferimento oggi
(pag. 5)

> La politica e il politico
(pag. 5)

> Genova e 11 settembre
(pag. 6)
INTERVISTA AD ANDREA COLOMBO - 15 OTTOBRE 2001


Io prima dicevo che l'intuizione di Toni dell'operaio sociale (poi piena di limiti per altri versi ma buona) era preziosa, ma in qualche modo è anche arrivata tardi, nel senso che noi abbiamo scambiato un tramonto per un'alba, e per colpa nostra fino ad un certo punto, nel senso che in Italia effettivamente quell'alba è arrivata al tramonto. E questo è stato un bel limite, perché noi almeno fino al '74, abbiamo proseguito su un'ipotesi, per cui non vedevamo che quella era una figura che stava per scomparire; poi lo shock petrolifero, la grande ristrutturazione del '74 (che ha preparato di fatto la sconfitta del '78-'80 più di ogni altra cosa), un po' ci hanno aperto gli occhi. A quel punto i gruppi e le aree della sinistra extraparlamentare, come le assemblee operaie, hanno fatto una specie di tentativo di rincorsa, hanno capito che lì c'era una trappola, però con tutta evidenza non ci è riuscito nessuno ad evitarla. Potere Operaio secondo me l'aveva intuito persino prima, però la sua reazione era stata quella del partito leninista, che con tutta evidenza non ha funzionato. Lotta Continua, che poi è il gruppo che rende meglio ragione del movimento italiano, perché ne rappresenta la medietà, tentò di fare l'inserimento nelle istituzioni con le elezioni del '75. Quelle, ancorché opposte, erano tutte risposte alla stessa sensazione, cioè l'aver capito tardi che non era l'alba ma il tramonto. Il libro di Toni, "Dall'operaio massa all'operaio sociale", esce nel '79, e quindi a cose chiuse e terminate, mentre una cosa del genere poteva essere quella che è stata, un'intuizione teorica, ma, a differenza del lavoro degli anni '60 rispetto all'operaio-massa, senza più possibilità di intervenire e di trasformarsi in un discorso tattico-strategica come era stato per l'aumento salariale. Questo perché erano cambiate le cose, per cui quelli erano all'offensiva e si preparavano ad una battaglia campale in cui hanno notoriamente stravinto. Un altro limite, che secondo me i compagni hanno visto di meno, è che c'era un'ambiguità nel movimento degli anni '70 non abbastanza indagata. Noi continuavamo a parlare di operaismo e di movimento operaio, ma in realtà il movimento è stato fatto da un corpo militante e dirigente che in larga misura non veniva da lì: era un corpo militante borghese, studentesco. Lì c'è stata una rottura interiore, di cui secondo me la sorte di Potere Operaio non rende ragione, ma quella di Lotta Continua sì, e LC è stata la medietà del movimento italiano, anche a livello operaio (a Torino, ad esempio, c'erano praticamente solo loro). E' stata una rottura molto più profonda della semplice sconfitta campale, per cui quel movimento si è trovato (credo per la prima volta) a fare i conti non tanto con l'essere stato sconfitto sul campo (il che era successo in un altro centinaio di casi), ma ad essere sconfitto dentro la testa dei suoi singoli militanti. La contraddizione è poi quella del '68-'69 italiano, cioè di un movimento che è durato dieci anni perché c'è stato il '69, perché è stato un movimento operaio, ma con un corpo militante che operaio non era. Ricordo un articolo a modo suo molto bello di Luigi Manconi uscito su Il Manifesto dopo l'arresto di Sofri, in cui diceva: "Noi di Lotta Continua siamo così antipatici alla gente perché la realtà è che abbiamo provato fare la rivoluzione, abbiamo perso e a quel punto siamo tornati alla nostra origine: eravamo borghesi, professori ecc., abbiamo perso e siamo tornati lì". Ora, questo nella lotta di classe non si dà: non è che se una classe perde può dire "torno alle mie origini". Quello è stato un limite enorme dell'esperienza italiana, e forse non solo di questa. Credo che sia il limite che ha trasformato una sconfitta anche pesantissima e storica in una rotta disordinata come sono stati gli anni '80. La prima volta in cui ho avuto la sensazione che se ne potesse cominciare a intravedere l'uscita è stata con Genova, perché i vent'anni seguenti sono stati completamente oscurati e recuperati.


A proposito di Genova, come pensi che si possa iniziare ad affrontare il nodo della politica e del politico, il rapporto movimenti-progettualità?

Onestamente non lo so, noi come DeriveApprodi ma con un po' tutta l'area, anche con i più lontani, abbiamo lavorato su alcune ipotesi, due fondamentalmente. La prima è l'esodo, cioè una lotta politica che non si propone più la presa del potere, ma l'autonomizzazione e l'allontanamento da esso. Poi ci sono i discorsi noti sulla moltitudine, sulla democrazia non rappresentativa, i forum come struttura di una democrazia non rappresentativa e quindi forme dell'esodo. Io credo che siano tutti elementi validi, non mi pare che si compongano ancora in un quadro politico degno di questo nome, cioè con una sua possibile progettualità anche soltanto all'orizzonte.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.