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INTERVISTA A PAOLO BURAN - 22 NOVEMBRE 2000


Un altro esempio che farei è il fenomeno ecologista: quando è scoppiato mi ricordo che abbiamo fatto una lunga discussione (come quelle che si facevano con Romano che duravano dodici ore). Perché Romano generalmente, correttamente dal punto di vista operaistico, quando scoppiavano le cose nuove ci vedeva sempre una promessa di forte innovazione e di arricchimento del bagaglio di issues rivoluzionario; mentre invece io sostenevo che il capitalismo era perfettamente in grado di assorbire e metabolizzare le tematiche ambientali. Anche queste secondo me sono diventate un normale correttivo, confluito in una migliore gestione della macchina del sistema. Dal punto di vista invece delle soggettività, le trovo praticamente inutilizzabili, nel senso che approvo le mobilitazioni per la tutela dell'ambiente se non assumono posizioni nostalgiche e reazionarie, però mi sembrano una componente per una migliore "gestione del condominio".


Nella lettura delle interviste che abbiamo iniziato a fare è venuta fuori la considerazione che fino a un certo punto c'è stata una soggettività che ha pensato nei termini della totalità, successivamente o in una dimensione più bassa, diciamo intermedia, c'è stata invece una soggettività che aveva sì un'influenza politica forte, ma che si è specializzata. Tra l'altro c'era secondo noi una piramide: c'erano alcuni soggetti che avevano un'autonomia effettiva e che, tra gli anni '60 e '70, non si contavano neanche sulle punte della dita di una mano; sottostante c'era un quadro intermedio che lavorava perché c'era un livello superiore di intellettualità che dava la direzione e sottostante una committenza, che erano le lotte, che facevano sì che ci fosse questa produzione di un sapere che in qualche modo era altro, anche sistemico però critico, con una certa capacità. Questo quadro era estremamente grosso e ampio, è poi quello che si ritrova nelle università, nella ricerca, in diversi ambiti. Nel momento in cui è mancato il sopra e soprattutto il sotto, questo quadro si è riformato nella dimensione dello specialismo. Per esempio, quella ecologista in Italia è una dimensione di specialismo, per cui molti di questi hanno trovato poi la professione però in una dimensione che non aveva più nessuna valenza politica di indirizzo. Con questo bagaglio di esperienze è chiaro che nella professione sono diventati tra i più bravi, questo è un dato di fatto; però, dall'altra parte, si tratta di una dimensione quasi esclusivamente sistemica, consapevolmente o inconsapevolmente.

Anche gli intellettuali e gli specialisti che più sembrano percepire le proprie attuali posizioni in una linea di continuità con le loro posizioni passate, secondo me di fatto sono operatori di una nuova tecnica gestionale del sistema. Il che non è una cosa da disprezzare, perché come accennavo c'è il rischio che ci sia un brusco arretramento e prevalga ancora la logica del denaro al di sopra di tutto, in termini brutali.


Infatti la riflessione è proprio questa, che se alcune persone non facessero al meglio la loro professione la società sarebbe molto peggio di quanto è, su questo non ci sono dubbi, però queste sono risorse che sono state tolte da una dimensione politica e immesse in una dimensione sociale e istituzionale di gestione. Questo vale anche per l'insegnante, probabilmente quello che ha in passato letto Tronti o che è andato a scuola da Romano, ha una visione della formazione che è sicuramente differente da quella di chi si è formato in altro modo. E questo comunque rimane un qualcosa in più di risorsa che costruisce ancora non antagonismo ma ambivalenza.


Anche nel partecipare all'innovazione del tessuto civile, alla difesa di forme rispettose di organizzazione ecc., c'è una componente di impegno morale: si tratta pur sempre di soggettività, uno viene coinvolto sul piano dell'impegno personale, anche dentro una logica gestionale. Anche perché, come dicevo, la sussistenza delle innovazioni maturate negli scorsi due decenni non appare scontata.

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