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INTERVISTA A PAOLO BURAN - 22 NOVEMBRE 2000


Tu hai dato una lettura significativa della soggettività operaia quando l'hai posta nei termini di una dimensione gramsciana, hai parlato dell'utilizzo di un potenziale da portare avanti nella dimensione capitalistica, anche con scelte politiche e ideologiche abbastanza forti. Tuttavia, la soggettività che si è formata successivamente ha fatto la stessa strada, con meno dimensione e spinta ideologica; però, buona parte della soggettività che si è formata negli anni '60 e '70 (il che è un po' alla base della nostra ricerca, quello che volevamo capire) dall'essere dentro e contro, consapevolmente o inconsapevolmente ha poi assunto una dimensione prevalentemente sistemica. Se si va a vedere, a parte i disastri che possono aver fatto certi percorsi di accelerazione ai quali tu adesso hai accennato, tutto quello che si è salvato da questa distruzione in realtà si è ricollocato, consapevolmente o inconsapevolmente, all'interno di una dimensione sistemica che è quella che tu stavi dicendo a proposito di quella soggettività precedente. Se uno guarda dove sono collocati adesso i quadri dirigenti o medi di quella soggettività lì, si vede che senza ideologia però hanno fatto lo stesso percorso. Tu cosa ne pensi?


Penso che sia vero e lo riscontro anche autobiograficamente. La mutazione è avvenuta negli anni '80, e secondo me è stata un cambiamento di epoca. Spesso si associa la crisi del movimento comunista al crollo dell'Est, ma secondo me si sarebbe verificata lo stesso. Tronti ha scritto (mi pare citando Dahrendorf) sostiene che in fondo la lotta di classe era anche la sostanza effettiva della democrazia politica come l'abbiamo conosciuta. Quindi, pensare di far sopravvivere una soggettività politica in assenza o nello svaporamento del conflitto di campi di forze dentro la società è un problema che secondo me non ha soluzione. Io mi sono privatizzato non per scelta, ma per l'esaurirsi degli spazi di discussione: non perché a un certo punto abbia detto "basta, il privato conta di più", ma perché non ho più trovato sedi e occasioni in cui fare un discorso. Sono rimasto nel Partito Comunista fino al momento in cui ha cambiato nome, un fatto che io ho considerato estremamente positivo perché dicevo "cribbio, finalmente non ci diciamo più comunisti, dovremo dire cosa siamo, cosa vogliamo, ragionare su progetti, su strategie, su interessi da rappresentare in modo strategico ecc.". Invece poi, come dicevo, è sopravvissuta solo un'oligarchia. E il primo effetto è stato la scomparsa delle sedi di dibattito; fino al 1990 non era così, c'erano ancora occasioni per discutere, pur facendosi un fegato così per il fatto di doversi confrontare con una cultura vecchia di decenni. Ricordo che di ritorno dalle riunioni mi chiedevo "ma perché devo andare lì? si ripetono delle giaculatorie che non trovano riscontro nel resto della società attuale, che non hanno nessun credito presso nessuno, non rappresentano interessi reali, sono solo il software di un sistema di potere che si gestisce grazie a una serie di riconoscimenti reciproci". Però, c'era sempre l'idea che con molta fatica si riusciva comunque a portare un discorso di innovazione, ormai molto poco antagonistico e più giocato su prospettive di sviluppo, di ritessitura di un tessuto civile e di organizzazione più moderno, più equo rispetto a certi interessi e a certe forze sociali. Negli anni '90 abbiamo assistito ad un rapido spappolamento di questa struttura di discussione. Anche dopo aver lasciato il PDS, ho continuato a chiedere agli amici che ci sono rimasti se sopravvivevano sedi in cui si potesse discutere di politica, e tutti mi rispondevano che sono completamente scomparse. Ci sono alternative? Il tessuto nuovo dei movimenti di volontariato io lo trovo un ripiego individuale: valido al pari del mio, ma solo per l'equilibrio personale. Io faccio il mio mestiere cercando di farlo decentemente, altri cercano di aiutare chi ha bisogno: sono soluzioni individuali accettabili, ma politicamente non ci vedo niente di promettente o di utilizzabile. Francamente, nel leggere il vostro documento, mi veniva da pensare che oggi ragionare in termini di soggettività antagonistica è proprio una cosa che non mi riesce di fare. Non dico che la soggettività non sia più importante: ma mi sembra importante come componente nuova e innovativa dell'ordinamento costituito, come un meccanismo del sistema. Il sistema in parte si sta modificando, in forme che non avevamo ben previsto: introduce degli elementi di feedback, di riadattamento con una certa intelligenza oggettiva. Alcune cose che diceva Romano in senso antagonistico negli anni '70 sul cervello collettivo secondo me hanno marciato come componenti del capitale, di riorganizzazione sociale del sistema. Dal lato antagonistico e rivoluzionario francamente non riesco più a vedere nulla da tempo, anzi la mia preoccupazione attuale, almeno in Italia ma un po' in generale, è che una reazione conservatrice alimentata dal senso di incertezza o dal timore del cambiamento soffochi anche la componente democratico-liberale di questa soggettività, producendo un arretramento complessivo di questa modernizzazione intelligente del sistema che potrebbe essere vista come un effetto indiretto e a distanza del movimento degli anni '60 e '70.

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