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INTERVISTA A PAOLO BURAN - 22 NOVEMBRE 2000


Una cosa che a noi interessa è come avviene il processo di formazione. Per esempio, Daghini ha fatto un discorso sugli incontri, nel senso che in realtà uno si forma anche rispetto a chi c'è già prima, rispetto a quanto questo lo indirizzi in una certa direzione: è dunque una cosa particolarmente importante quelli che sono i numi tutelari o chi ti indirizza in un determinato modo, ti passa un metodo di guardare le cose, di agire politico, di riflettere. Tu hai già detto che Delpiano è una persona eccezionale: ci puoi dire qualcosa di più su questa figura e sui tuoi processi di crescita, anche rispetto al particolare ambiente biellese?


Penso che in quel periodo Delpiano fosse marcusiano, ci istruiva sui possibili fronti di critica dell'esistente: anche per me il "pensiero negativo" di Marcuse ha avuto molta importanza nel capire che il modello di modernizzazione allora prevalente non risolveva tutti i problemi ma aveva delle falle e degli scompensi interni enormi: iniquità, e quindi fragilità, possibili crepe su cui agire, anche se il trionfo del "neocapitalismo" pareva in grado di risolvere tutti i problemi. Il problema era quello di sganciare il pensiero di sinistra da una tradizione pauperista che era stata fino allora prevalente, e che non consentiva di comprendere e rapportarsi criticamente allo sviluppo neocapitalistico degli anni '60, per cui non si poteva continuare a parlare puramente in termini di oppressione. Ma il vero salto mentale è stato per me rappresentato dalla scoperta delle riflessioni di Tronti, e dalla frequentazione del gruppo di Gobbi, e prima ancora del gruppo dei giovani comunisti di Biella.
Questi personaggi invece avevano un forte approccio operaista, erano tendenzialmente più operaisti di Romano che invece era sempre più attento (almeno quando l'ho conosciuto, più tardi) alle problematiche degli impiegati, dei tecnici, degli studenti ecc. Invece, lì c'era una posizione operaista molto dura. L'idea era quasi "noi come giovani intellettuali o giovani in formazione non abbiamo nessuna arma e nessuno strumento in mano per approfondire le contraddizioni, per aprire prospettive nuove, se non quella di contribuire a rinsaldare il fronte della classe operaia, in particolare l'emergenza degli operai nuovi, gli operai di linea". Erano posizioni di forte polemica, infatti dopo pochi mesi di intervento ai cancelli delle fabbriche siamo stati messi sotto processo dal PCI locale: sostanzialmente noi forzavamo la partecipazione ai conflitti e all'esplosione dei conflitti al di là delle scadenze sindacali che invece puntavano a disciplinarli e canalizzarli. E facevamo leva sugli operai di linea, che nel biellese erano essenzialmente operai delle filature, contro invece il tradizionale strato d'avanguardia dei tessitori che erano gli operai specializzati, base di riferimento del PCI locale e anche del sindacato.


Nel gruppo di Biella c'era anche un certo Maggia.


Sì, Giulio Maggia era senz'altro la figura di maggior spicco e intelligenza tra i giovani comunisti biellesi. Se dovessi spiegare le scelte di allora, credo che la scelta verso il PCI fosse dettata essenzialmente dal realismo politico: Maggia e gli altri che gli ruotavano intorno puntavano a studiare e ipotizzare delle strategie che avessero qualche possibilità di successo a medio termine, mentre altre persone privilegiavano un aspetto espressivo, credevano molto nella continuità politica delle lotte e nella presenza quotidiana nei conflitti. Partendo da posizioni di quel tipo, io ho aderito allora, nel '68, al PCI e - sia pure con una serie di scontri o tensioni - sono poi rimasto nel Partito Comunista fino a una decina d'anni fa, quando mi sono reso conto che la crisi si stava manifestando ma non dava i risultati che io speravo, anzi forse faceva emergere il lato peggiore. Avevo creduto che quando la crisi fosse esplosa le forze sociali rappresentate nel PCI avrebbero imposto le loro esigenze e il loro punto di vista, rompendo le burocrazie: invece abbiamo visto che quelle sono rimaste, quello che teneva in piedi questa macchina era essenzialmente la forza della burocrazia che è capace di sopravvivere anche senza una base di riferimento, una cosa che veramente non avevo previsto.

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