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INTERVISTA A GUIDO BORIO - 27 OTTOBRE 2001


Come si caratterizzano, secondo te, i vertici di questo ipotizzato triangolo individuato nella ricerca? Quali ne sono stati e ne sono i limiti e le ricchezze dal punto di vista della capacità di proposizione politica?

Io sono abbastanza convinto che siano proprio poche le persone che possano essere individuate come vertici di questo triangolo: tre, quattro o al massimo cinque. Sono i soggetti che hanno dato e rappresentato realmente una direzione. Si tratta di coloro che sono stati trainanti all'interno dell'operaismo: Tronti, Negri, Alquati, per certi aspetti Bologna e magari qualcun altro. Loro nel bene e nel male hanno espresso un punto di vista caratterizzante fondativo.
Alcuni di loro li ho frequentati e con essi mi sono rapportato in termini differenti. Sicuramente già nei primi anni con la lettura dei testi, seguendo i loro interventi all'interno di ambiti specifici, e ciò in particolare per quello che riguarda Tronti e Alquati, che io ricordo di aver visto in assemblee o averli sentiti in lezioni universitarie, e poi dopo anni ho conosciuto direttamente. Con Toni Negri, invece, ho avuto un rapporto che era non tanto personale, quanto di militante all'interno di una stessa area e proposta politica. Nella seconda metà degli anni '70, avevo un'attenzione e un confronto con quanto lui diceva e portava avanti che sicuramente costituiva un elemento importante per me e per la proposta politica che sostenevamo. Per quanto riguarda Romano Alquati devo dire che dall'inizio degli anni '80 all'87 sempre più mi ero convinto che fosse necessario conoscere questa persona e avere delle possibilità di approfondire il suo punto di vista e quanto proponeva. La conoscenza personale è successiva, incominciò quando uscii in semilibertà dal carcere, avendo già prima letto, studiato e considerato molti dei suoi testi, mi sono posto il problema di incontrarlo. Ho incominciato ad andare alle sue lezioni all'università e poi a fargli domande. Per quanto riguarda Mario Tronti, infine, si tratta di una conoscenza che è avvenuta solo nell'ultimo periodo, con questa ricerca e le interviste che gli abbiamo fatto.
Io penso che ai vertici di questo triangolo vada riconosciuta una grande capacità nell'essere stati in grado di introdurre delle proposte politiche, dei modi di vedere e di elaborare teoria che sono stati significativi e determinanti. Hanno studiato e prodotto una teoria rivoluzionaria che si arricchiva di nuovi saperi e interpretazioni decisamente significativi; un nuovo modo di interpretare Marx, di leggere lo sviluppo capitalistico e la composizione di classe che in questo si dava. Era una capacità senza precedenti in Italia, riferita a un punto di vista di classe, in grado sovente di anticipare i punti di crisi e gli elementi di conflitto. L'operaismo italiano è diventato anche un punto di riferimento importante a livello internazionale. All'interno sono stati la matrice fondativa di molti percorsi politici e sociali, l'elemento della formazione politica e rivoluzionaria per più generazioni. L'operaismo ha saputo sciogliere alcune ambiguità, dare battaglia politica al riformismo e allo stalinismo che dominavano nel movimento operaio: è stato qualcosa di preciso, di netto, di chiaro. Tronti, Negri, Alquati sono stati importanti per il loro peso politico e sono determinanti e ancora oggi: non sono né superati né sostituiti da altri. Tuttavia, non si può dimenticare che singolarmente il loro punto di vista teorico e le loro scelte andrebbero oggi riconsiderate e in qualche modo rimeditate. Rimeditate anche e soprattutto criticamente, perché se sono stati i numi tutelari per la formazione di migliaia di persone che hanno fatto militanza politica negli anni '70 e '80, è altrettanto vero che alla resa dei conti il loro progetto politico di trasformazione e rivoluzionario non si è dato.
Questo dovrebbe portarci a capire in termini critici perché ciò non si è dato. Certo non tutto può essere imputato alla soggettività loro o dell'operaismo, ci sono anche altre condizioni che sono mancate: pensiamo per esempio all'anomalia italiana come continuità di conflittualità nei confronti del resto dell'Europa e come questa disparità di scontro e di lotte abbia permesso al capitalismo, già molto globalizzato negli anni '60 e '70, di isolare e affrontare singolarmente la situazione creatasi nel nostro paese. Però, alcuni interrogativi vanno comunque posti. Perché, dunque, non si è stati collettivamente in grado di costruire una processualità e una progettualità capace non dico di fare la rivoluzione, però di accumulare e costruire un percorso politico che sapesse confrontarsi e contrapporsi, in un periodo di tempo lungo e consistente, alla dimensione capitalistica e sistemica. Questa è, secondo me, una cosa importante che va ragionata anche individuando le peculiarità e le scelte e le traiettorie di ognuno di loro.

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