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INTERVISTA A GUIDO BORIO - 27 OTTOBRE 2001


L'agire politico rivoluzionario, invece, è dato molto più da capacità di intuizione, di muoversi in una maniera particolare, con dei fattori che sono quelli solo in quel momento lì e non lo saranno mai più in qualsiasi possibilità sociale, rivoluzionaria, conflittuale. Ciò anche se magari ci sono dei cicli che si possono ritrovare: ad esempio, le esperienze delle forme di lotta si trovano trent'anni prima da una parte e trent'anni dopo in un'altra area geografica. Però, di per sé la dimensione politica è unica, ed è unica anche la capacità che ci vuole per esprimerla: sicuramente si muove anche in una dimensione di irrazionalità e non scientificità del modo di essere. Alquati oggi dice: teniamo conto della religione, della cultura, della politica e dell'economia, queste due coppie non possono essere contrapposte.
A volte rispunta una dimensione che in parte è positivista, per cui siamo abituati a pensare anche il marxismo e tutto ciò che ne consegue con queste caratteristiche: in realtà, quando l'agire politico rivoluzionario è stato effettivamente tale, lo si è potuto vedere e constatare solo a posteriori e mai a priori. Non si può cioè dire che una cosa è rivoluzionaria perché viene etichettata in questo modo, va sempre posta a verifica, e la verifica, purtroppo, è sempre dopo, anche quando viene tentata mentre il processo si dà: sovente è al termine di un ciclo che si fa il bilancio, che si vede come sono andate le cose, dove si è arrivati, come vi si è arrivati e quelli che sono stati i limiti effettivi.
Prima, e nel mentre, si possono intuire, si può pensare che determinati percorsi possano andare da una parte o da un'altra. Però, la capacità di aprire o di impedire che si chiudano determinati spazi, o aprirli e chiuderli per l'avversario politico, per la classe avversa, è la grande dimensione della politica. Io non credo alla progettualità intesa come costruzione già a priori di qualcosa che poi viene definito e fatto. La progettualità politica non è quella dell'architetto, non è quella di chi ha poi da verificare in termini quantitativi e misurabili il progetto. Il processo politico è l'agire tra un'indicazione di tendenza che si dà, ma che non è assolutamente definita, un discorso di direzione (per esempio, di uscita dal capitalismo), e poi sapersi muovere all'interno di questo con una capacità effettiva nel portarlo avanti verso una direzione. Dopo di che, anche lì, il discorso della svolta, della regressione o dell'accelerazione dell'avanzamento, e le forme di ciò, sono sempre in continua ridefinizione. Diciamo che non c'è mai niente di stabile, la politica rivoluzionaria non è una cosa che una volta fatta ed inventata poi perdura, non ha procedure definite, non ha esiti certi. E' una cosa che continua a cambiare, a ridefinire, a ridare, oppure indietreggia. E ciò proprio perché, in ultima analisi, è legata ai rapporti di forza e ai rapporti sociali.
Questa caratteristica, questa dimensione in alcuni momenti è stata colta: per esempio, quando si è identificato il salario come elemento di espressione di potere e di contrapposizione di classe, ciò è sicuramente stato importante e significativo, ma paradossalmente il salario può diventare, ed è diventato, anche un'arma impugnata dal capitalista per ribaltare i rapporti di forza. Finché, a livello di spontaneità di classe o di proposta politica, ci si è mossi su questo terreno i risultati hanno avuto una dimensione positiva d'induzione di crisi, di destabilizzazione e destrutturazione della dimensione capitalistica e di quella parte del ciclo; nel momento in cui c'è stato uno scollamento, di nuovo chi ha fatto passi in avanti è stata la controparte, cioè il capitale. Va anche detto che nello scontro tra classi è valida la metafora dell'altalena: quando una parte è più in alto l'altra è più in basso, quindi i rapporti di forza che si instaurano tra le classi non sono mai stabili e non sono mai slegati dal fatto che se una classe ha l'iniziativa l'altra non ce l'ha e viceversa.
Io credo che su questi terreni bisognerebbe di nuovo riflettere: se altro si può dire sulla composizione di classe o su altri nodi, sicuramente il problema di costruire qualcosa che non c'è costituisce un terreno che rimane forte e significativo.


Hai toccato l'importante questione della politica rivoluzionaria come processualità dialettica di destabilizzazione e rottura degli equilibri della controparte e propria costruzione progettuale e accumulo di una forza che è per natura reversibile.

Un altro elemento di analisi legato a questi rapporti che noi abbiamo colto nella ricerca è che quando una classe o una proposta politica è avanti l'altra necessariamente subisce una regressione, e va aggiunto che subisce anche un discorso di distruzione. Da una parte ci sarebbe un grosso capitolo da aprire riguardante il rapporto tra l'individuale e il collettivo; dall'altra parte, credo che non si siano fatte riflessioni adeguate su quel che concerne la dimensione del consumarsi, dell'estinguersi o del dissolversi della soggettività politica rivoluzionaria e della forza di classe.

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