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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Mentre il capitalismo prima prendeva corpo nel padrone e la fabbrica, restando per il resto un'entità astratta, oggi il capitalismo è dentro di noi, nel senso che siamo diventati imprenditori di noi stessi per stare sul mercato e sopravvivere. E questo capitalismo personale si vede anche su come i soggetti determinano e immaginano il loro futuro. Fino all'altro ieri non pensavamo di dover essere noi i protagonisti del nostro futuro. Fin quando eravamo soggetti al lavoro, dentro la società, operai, salariati, impiegati, ecc., delegavamo il nostro futuro alla statualità che ci accompagnava dalla culla alla tomba. Ora non è più così. Prendiamo alcuni numeri: in ambito previdenziale la quota delle attività finanziarie - sto parlando dell'Italia - destinate a polizze vita o a fondi pensione personali, non collettivi quindi, non l'Inps, sono passati dal 7% del '98 al 10% del 2000, e si fa un trend già di crescita al 12% nel 2002. Lo sanno bene le banche, che hanno individuato in questo il mercato del futuro. Per una vecchiaia più serena solo il 18,9% degli italiani pensa di affidarsi e spera nello Stato; il 29,2% sceglie genericamente di risparmiare o di giocare in borsa; il 26,7%, di cui il 45% dei più giovani, pensa alla stipula di un'assicurazione privata. Ecco che il capitalista personale deve essere intraprendente per disegnare il proprio futuro contando solo ed esclusivamente su cosa? Sui meccanismi del privato e della finanza, sui meccanismi del capitale, quindi, e non più della statualità. Allora, se questa è la composizione sociale che viene avanti, la sfida politica è tra chi è in grado di porsi sia sul versante dell'intraprendere che su quello dell'autotutela. E io credo che tra i due venditori di futuro, il più credibile per la cultura del capitalismo personale sia apparso Berlusconi. Altro esempio: i numeri della case di proprietà. Allora, noi possiamo anche sorridere di questi argomenti, ma l'identificazione passa anche attraverso cose elementari. Berlusconi dice che abolirà la tassa sulle donazioni e sull'eredità. Bene, come si risponde a questo? "Lo fa per lui". Ma vogliamo renderci conto che una famiglia media italiana che deve lasciare un'eredità a un figlio, se ha un appartamento di proprietà e magari un pezzo di eredità ricevuta precedentemente, una casa da qualche altra parte, inizia ad avere il problema di non far tassare 500-600 milioni e più. Ecco che uno dice: "Ma anch'io sono come lui, anche se lui ha i miliardi a palate". Quindi il discorso con cui la sinistra ha fatto campagna elettorale, difendendo, e giustamente io dico, il welfare, la statualità, ecc., è stato sconfitto da quello del capitalismo personale. Sembra prevalere il modello americano della privatizzazione del welfare. E io credo che questo non sia un caso: bisogna rassegnarsi al fatto che probabilmente, fra quelle europee, siamo la società più americana. Ovviamente un'America senza protestantesimo, senza quella lunga tradizione al capitalismo personale che ha sviluppato pesi e contrappesi, e regole, nel governo dei poteri; un'America cattolica, quindi senza quel grande quadro di regole che hanno loro. Ecco perché poi in Italia si dispiega in modo così plateale la questione del conflitto d'interessi. Non c'è dubbio che le regole non ci sono e questo è il problema; però, non si vincono le elezioni dicendo solo: "Le regole!", perché gli altri vogliono le passioni e le regole non producono passioni. L'accompagnamento del capitalismo personale produce passione.
Terzo punto, ancora di analisi. Siamo, come dice Cacciari, dentro la dimensione dell'individualità compiuta. La comunità originaria e l'appartenenza di classe, i due grandi pilastri che hanno caratterizzato tutto il '900, si sono depotenziati. Siamo dentro la società della moltitudine. L'uomo democratico e consumatore, capitalista personale, vuole sempre più libertà di essere utente e consumatore, produttore e consumatore di informazioni, opportunità, eventi ecc., e, nello stesso tempo, ha paura del futuro. Quindi, l'uomo democratico e consumatore vuole essere utente e produttore di informazione al meglio e dall'altra parte ha un grande desiderio di affidarsi. Quindi, vuole far da solo e dice: "basta con lo Stato che mi dice...", e dall'altra parte però pone una domanda di protezione. Ma a chi si deve affidare, se lo strapotere della biopolitica, del tecnico-economico, ha ormai delegittimato tutti gli altri poteri, statualità, nazione, rappresentanza, rappresentanza delle passioni, cioè partiti, sindacati? Da una parte afferma: voglio fare da solo, voglio anche sbagliare da solo, non voglio più che qualcuno mi dica cosa devo fare; e però questo crea insicurezza. A questo punto, mi sembra evidente che si affiderà a chi, di nuovo, sia riuscito a essere il miglior venditore di futuro. Pensiamo solo al tema della sicurezza, - tanto sentito proprio perché una società così competitiva, anomica, produttrice di solitudine crea smarrimento, insicurezza, paura del futuro - dirottato tutto nella diffidenza verso l'altro, il diverso, lo straniero.

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