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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Poi, diciamolo onestamente, biopolitica, identificazione della leadership, ipercomunicazione, eccetera, tutto questo lo vediamo già completamente dispiegato in quello che è il modello americano, il che conferma che probabilmente noi siamo già un pezzo della provincia americana. Siamo di fronte a fenomenologie che richiedono un di più di analisi e un di più di elaborazione politica per contrastarle.
Vediamo più da vicino i diversi processi che abbiamo di fronte. Un primo processo è che ormai non si produce più per un mercato indistinto e in continua espansione, ma si tende a produrre per il singolo individuo. La grande aspirazione del capitalismo è quella di riuscire a produrre "merci personalizzate". Solo attraverso un discorso di personalizzazione noi riusciamo a stare dentro un meccanismo di profitto. Oggi non a caso non parliamo più di "catena del valore" ma di "ragnatela del valore". La catena del valore legava la produzione delle merci dentro le mura delle imprese e, una volta prodotto il bene, si presupponeva un mercato di utenti e consumatori in continua espansione e disponibili ad acquistare "un'automobile di qualsiasi colore purchè nera", come diceva Ford. Bastava distribuirla un'automobile o una lavatrice affinché fosse acquistata come un bene necessario. Oggi la ragnatela del valore inizia ponendo al centro non la produzione della merce ma le informazioni e i desideri del singolo utente-cliente che vuole, adesso sì, una macchina di un certo colore e non di un altro, una merce su misura. La catena del valore sta a monte del processo produttivo, la ragnatela del valore sta a valle, ed entrambe si incontrano quando il bene, la merce, si incontra con l'utente-cliente. Allora, in questo meccanismo di sempre maggiore personalizzazione, del mercato, della merce, il soggetto non è più preso in considerazione nella società nei vari cicli, ora come produttore, come cittadino, come consumatore, ma il soggetto diventa fondamentalmente un "utente-cliente". E mi sembra evidente che questo è stato il meccanismo sul quale si è costruito il discorso elettorale: tanti utenti-clienti. Ovviamente con una professionalizzazione, una tecnicalità che ha permesso di raggiungere più utenti-clienti possibili. Ma questo credo fosse chiaro anche all'altro schieramento, perché non è un caso che avessero pensato anche loro ai guru americani per raggiungere il maggior numero di utenti-clienti possibili. Probabilmente qui, fra i due soggetti, ha pesato una grande disparità di disponibilità economica. Uno aveva la potenza dei mezzi per pagarsi le tecnicalità adeguate e qualcuno non le aveva. Seconda considerazione. I dati sui lavori ci dicono che ormai tra forme del lavoro individuale e forme del lavoro collettivo prevale anche quantitativamente, non più solo qualitativamente, come egemonia di modello, la forma individuale. Sul totale degli occupati, sommando gli occupati ufficiali e quelli sommersi, le posizioni di lavoro individuale rappresentano il 50,9%. Ovviamente qui si fa una forzatura delle categorie che definiscono il mercato del lavoro perché un lavoro a tempo determinato è un lavoro salariato, normato, e non individuale. Ma, in realtà, se vieni mandato per sei mesi in un'impresa, poi ritorni disoccupato e magari, aggiornando le tue capacità, vieni mandato da un'altra parte, in realtà è la tua capacità individuale di essere messo al lavoro che è in gioco. E lo stesso vale per le forme dei lavori sommersi, neri, precari, in cui ognuno si deve arrabattare per inventare qualcosa. Non c'è dubbio, comunque, che in questo 50,9%, rientrano sia il lavoro imprenditoriale in senso stretto, che gli imprenditori di aziende dell'information communication technology fino agli specialisti, ai tecnici del settore; poi i tanti che fanno piccola, media, grande impresa e impresa artigiana; tutti i lavoratori autonomi che esercitano professioni liberali, in tutti i settori produttivi e, attenzione, non stiamo parlando solo dei professionisti che sappiamo, ma di tutte le nuove professioni, tipo marketing, pubblicità, consulenze, eccetera; poi abbiamo i tanti giovani e meno giovani che lavorano in forme di lavoro atipico, sempre più tipico, come il caso del milione di partite Iva; poi i tanti lavoratori della conoscenza, che hanno nel loro sapere, nelle loro competenze, costantemente aggiornati, i propri mezzi di produzione; infine i tanti operatori del terzo settore, che operano privatamente per il bene pubblico, lungo la filiera dell'out-sourcing degli enti locali, che sono organizzati in imprese sociali, cooperative. Ora, tutte queste figure io le definirei come "capitalisti personali", imprenditori di se stessi. Capisco che è una forzatura, ma io credo che possiamo dire che la nostra società è sempre più caratterizzata dal mito e dalla forma del capitalismo personale. Se è così, ecco spiegato l'altro grande e potente meccanismo identificatorio: "Facciamo tutti come lui"; "facciamo tutti come lui, che ce l'ha fatta".

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