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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Se devo parlare della rete di potere che più ho consolidato, è stato importante il rapporto con De Rita (che non è un rapporto di potere, ma è un rapporto di amicizia e di consuetudine che già ho spiegato nella precedente intervista). Lui è stato dieci anni al CNEL e abbiamo lavorato lì, dentro un'istituzione che ha rapporti con il territorio e consolida delle reti, perché costruisci i rapporti con le banche, con le camere di commercio, con quelle che sono le autonomie funzionali che stanno sul territorio; o, ad esempio, con reti lunghe come quelle che permettono di andare a Bruxelles o reti ancora più ampie. E, sempre a proposito del capitale sociale, certamente devo ricordare (cosa a cui già ho fatto cenno nella prima intervista) un rapporto per me importante che è quello con Carlo Borgomeo. Questa è la mappa. Rispetto a ciò c'è un punto interrogativo, che riguarda i due modi di usare il capitale sociale: da una parte può essere letto come strumento che uno usa per consolidare il suo potere (è il meccanismo che io ho criticato rispetto agli anni '70), allora c'è la politica che usa la rete di relazioni semplicemente per selezionare amici e nemici e per andare verso l'alto. Anche in un istituto di ricerca o nella logiche economiche e competitive il capitale sociale può essere usato in questo modo. Oppure, rimane il problema della socializzazione. Ritengo, infatti, che il capitale sociale vada socializzato: se c'è una rete di produzione di informazione, di conoscenza ecc. questa va resa pubblica, non è che ognuno si tiene la sua e se la usa, questa è una cosa che mi ha sempre dato fastidio. Però, non bisogna nemmeno praticare il meccanismo esattamente inverso, che è quello per cui si dice: "siccome tu sei uno che appartiene alla mia comunità, il tuo capitale sociale è mio e il mio è mio". C'è un problema di reciprocità: se il capitale sociale è un bene disponibile, si tratta di un meccanismo che entra dentro una logica di dono, di scambio e di rete, non è un qualcosa che c'è in un posto, per cui si va lì e lo si prende. Il capitale sociale è come la fiducia: è un bene che più si pratica e più aumenta, meno lo si pratica e più diminuisce. Il meccanismo di fiducia tra le persone è aleatorio, ma più le persone si danno e si donano fiducia, più questa aumenta, se non si dà fiducia all'altro questa non ha senso. Il meccanismo del capitale sociale è lo stesso: più uno aumenta questa rete di scambio permanente tra le persone di gratuità, in cui ci si dà delle cose (oppure ce li si scambia anche commercialmente), più il capitale sociale cresce. L'istituto di ricerca va avanti con una logica da mano aperta e non da mano chiusa, perché se tu lo tieni in una logica da mano chiusa muore presto.


Nelle categorie del moderno, la politica può essere interpretata in almeno due modi: da una parte, esiste la politica come gestione e amministrazione, non necessariamente istituzionale, può trattarsi anche di gestione di un'organizzazione, di un conflitto o di un gruppo; dall'altra parte, c'è il politico come progetto di trasformazione e creazione di un qualcosa che allo stato presente delle cose non c'è. Partendo dall'analisi dei nodi aperti nell'oggi, come declineresti o rideclineresti la questione della politica?

Se devo riflettere su che cosa è oggi la politica, punto primo la penso come una cosa con la p minuscola e non con la P maiuscola. Quindi, oggi la politica è la negazione dell'autonomia del politico, può sembrare un controsenso, invece mi pare un'affermazione importante. E se la politica è la negazione dell'autonomia del politico non saprei definirla meglio di come l'ha definita Massimo Cacciari: la politica è in primo luogo dire al tuo prossimo che non è solo. Cioè, la politica significa ricominciare a ritessere valore di legame tra gli individui spaesati, soli e dentro la moltitudine: è innanzitutto creazione di valore di legame e ampliamento del capitale sociale dei soggetti. far politica oggi significa ampliare le reti di relazione dei soggetti. Credo che la politica come agire amministrativo e come statualità abbia poco da dire, non per altro, ma perché ormai dall'agire amministrativo e dalla statualità capitale sociale e beni relazionali non ne arrivano più: mentre prima la conquista dello Stato, il ripartire dalla statualità per redistribuire beni relazionali aveva un senso, perché c'era il welfare, oggi come oggi quel meccanismo discendente o ascendente è sempre più arido, nel senso che il welfare è smantellato.

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