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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Diversa è invece la terza fase, in cui è finita questa esperienza: credo che invece lì la mia fortuna dipenda molto dalla mia capacità di creare legame sociale. Forse questo discorso qui mi era rimato proprio come una carenza: come sempre, avendo un meccanismo di assenza, dal momento che nei primi anni del romanzo di formazione non ero riuscito a soddisfare una dimensione di reti di relazione, e ciò vale anche per la seconda fase, quella della politica come luogo di reti di relazione, ho investito molto invece nelle reti di relazione successive, quelle che dipendono poi dal mio cominciare a fare il ricercatore sociale. Anche perché nell'attività di ricerca sociale il problema del valore di legame e della costruzione di reti di relazione era una delle fisse che avevo. Quindi, cominciano a delinearsi delle reti di capitale sociale in base alle quali ho costruito l'AASTER, su questo non c'è dubbio: se non avessi avuto queste reti sarebbe stato tutto molto diverso. Questo meccanismo del capitale sociale, che oggi sono in grado di denominare in questo modo, è stato il motore vero della terza fase della mia biografia. In primo luogo, non facevo più politica, meccanismo che invece brucia il capitale sociale, perché lo porta o verso la logica amico-nemico, che è nemica della logica del capitale sociale e del bene relazionale, o verso la logica del potere, per cui porta verso l'alto: quando tu vai verso la logica del potere usi il capitale sociale per raggiungere il potere, quindi diventa una funzionalità e non una rete. Invece, quello della ricerca sociale è un meccanismo basato sul capitale sociale, nel senso che riconosce il soggetto, crea relazioni tra i soggetti ecc. Questa terza fase è perciò densa di relazioni sociali. In circa vent'anni di professione o anche un po' di più, ho accumulato un capitale sociale minuto e diffuso che significa la conoscenza della dimensione territoriale: banalmente, conosco tanti amministratori locali, tanti sindaci, tanti rappresentanti di impresa, tante imprese locali ecc. Questo è un grande patrimonio, perché vuole poi dire conoscere la rete dei soggetti. Dietro a questo capitale sociale diffuso si sono costruite anche vere e proprie reti di relazione, che sono quelle che hanno poi portato, intorno al lavoro di ricerca e all'AASTER, alla strutturazione di un discorso di associazione culturale. La ricerca è un'attività che incorpora un lavoro tecnico-politico, dentro il quale è ovvio che l'acceleratore viene premuto una volta sulla tecnicalità e una volta sulla politica con la p minuscola, non la politica del potere ma la politica dei fatti, del realizzare delle cose. Dunque, questi 20-25 anni hanno prodotto una rete in primo luogo con altri istituti di ricerca, ovviamente non simili al mio: io mi occupo di territorio, di problematiche dello sviluppo, della composizione sociale, mentre ad esempio in questi anni si è consolidato un rapporto con la Fondazione Micheletti che è un istituto storico. Si è poi consolidato un rapporto con quello che io chiamo il gruppo di Rullani, intendendosi con questo quei ricercatori e accademici di territorio che hanno incominciato a studiare per primi il fenomeno del postfordismo, iniziando a ragionare su questo. Oppure delle individualità o dei luoghi di produzione culturale come può essere l'Einaudi e la Bollati Boringhieri a Torino, o Marco Revelli, e anche in questo caso il tema è il postfordismo, la transizione ecc. Per cui questo capitale sociale e questa rete di relazioni, che non è quella diffusa data dalle ricerche, è una rete che confluisce in quella che io ridendo chiamo AASTER di serie B o di serie A, che poi è il vero capitale sociale dell'istituto di ricerca, perché questo da solo e senza consenso non funziona. Quindi, mi sono posto il problema di come questo capitale sociale e queste reti di relazione (non da immettere immediatamente nel meccanismo della ricerca) possano diventare un capitale sociale che sia socializzabile, e su ciò abbiamo ragionato per fare l'associazione. Non sono ingenuo, quindi non faccio un racconto di questi ultimi anni come se riguardassero solo un capitale sociale diffuso nel volontariato, nelle imprese, nei soggetti con cui ho lavorato, negli enti locali, o solo reti di relazioni intellettuali: si sono consolidate anche reti di potere, intendendosi quelle che ti derivano dal rapporto con il committente. I committenti sono soggetti che ti danno dei soldi per fare degli interventi, quando tu gli interventi li fai bene e accompagni questi committenti si costruisce una rete che ovviamente è una rete di potere perché produce informazioni, denaro, punti di vista, punti di osservazione. Credo che sia passando su tutte e tre le reti (il capitale sociale diffuso, il capitale intellettuale e la rete di potere) che poi arrivi anche a scrivere sul Corriere della Sera: si rendono conto che hai prodotto dei libri, che hai fatto delle cose, che hai un punto di vista e un punto di osservazione e quindi puoi scrivere su quel giornale.

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