>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> I "numi tutelari"
(pag. 1)

> La questione della politica
(pag. 6)
INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Non mi ha sorpreso che a un certo punto, nella cronaca del dopo Genova, si sia scoperto che attorno a quel gippone dei carabinieri dove ha trovato la morte Carlo Giuliani ci fosse il commercialista, il barista, quello che aveva un negozio. Nella scomposizione sociale avvenuta, è questa la nuova moltitudine che si mobilita, è questa la civilizzazione che viene avanti. Però, è sbagliato pensare che il secondo popolo e la moltitudine siano piegabili a un primo popolo che li interpreta usando le categorie del '900. Il problema, in termini teorici, è la perdita del soggetto, ma a questa cosa dobbiamo abituarci. Oggi il rapporto è immediatamente tra soggetto e oggetto e per questo la politica è in crisi. Per tutto il '900 il modello produttivo di riferimento produceva la sua composizione sociale antagonista; ora, invece, la globalizzazione dissolve la composizione sociale, la distrugge, non la crea più. Così, la new economy non significa new society; la globalizzazione distrugge comunità locale e meccanismi di aggregazione, si fonda sul rapporto tra grandi processi globali e l'individuo. In questo contesto di dissoluzione della comunità, il problema sta in quello che io definisco il "fare società". Dunque, se la comunità locale non è più un dato naturale, se è tutta dissolta, dobbiamo renderci conto che la questione è quella di creare artificialmente la società. Secondo una massima di Martin Heidegger, che ha condizionato tutto il pensiero europeo e occidentale, prima viene il pensare, poi il costruire e quindi l'abitare un territorio. Non sono d'accordo con questo schema di ragionamento, anzi lo rovescerei sostenendo che il problema è abitare un territorio, poi ipotizzare come costruirlo artificialmente e infine pensarlo.
La nuova politica significa essenzialmente ripartire dalla persona e non da categorie come quelle di classe e società, perché la vera questione posta sul tappeto è quella dell'uomo con i suoi diritti. L'unica parola d'ordine, se la si vuole trovare, è quella di chi dice non di essere contro la globalizzazione, ma che dentro di essa bisogna globalizzare la solidarietà, i diritti, le opportunità. E' questa la questione elementare dal punto di vista politico, rispetto a cui il secondo popolo ha già una sua pratica: esso, infatti, è cresciuto in questi anni mobilitandosi per le cose minute (il problema dell'ambiente o quello della salute, ad esempio), quindi ha una pratica di mobilitazione. Poi ci sono dei momenti in cui questa pratica precipita dentro eventi spettacolari non creati dal movimento, ma da una globalizzazione che ha bisogno di legittimare se stessa, facendo i G8 tanto per intenderci: questa è stata la produzione dell'evento. E' un qualcosa che è diventata una merce, in tutti i momenti in cui ci sono eventi spettacolari, là ci sono momenti di mobilitazione. Ora, noi dobbiamo considerare che dal fordismo al postfordismo, e da quest'ultimo alla globalizzazione, c'è stata una discontinuità forte: per usare un'espressione di De Martino, c'è stata un'apocalisse culturale, molto simile a quella che tra '800 e '900 ha sancito il passaggio dal mondo agricolo al capitalismo urbano industriale. Chi avrebbe pensato che quella moltitudine di pezzenti massacrata dai cannoni di Bava Beccaris (con la stessa violenza che si è vista nel massacro di Genova) avrebbe poi elaborato al suo interno una grande capacità di autorganizzazione? Invece, nacquero le leghe operaie e contadine per tutelare i proprio diritti, le mutue per darsi solidarietà, le università popolari per darsi un linguaggio, nacquero insomma tante forme di autorganizzazione. Allora, riguardo sia al secondo popolo sia alla moltitudine, ritengo che sia necessario lasciar crescere il loro linguaggio e le forme di autorganizzazione, che embrionalmente sono già tante. Inoltre, ha già i suoi modelli e i suoi saperi, che si chiamano, ad esempio, "Medici Senza Frontiere" o Gino Strada. Il nostro, invece, è un linguaggio datato: si può fare lo sforzo, come sociologi e ricercatori sociali, di vedere la novità e quindi interpretarla, ma le nostre pratiche sono sempre dentro i meccanismi amico-nemico e del conflitto. Invece, sta venendo avanti un linguaggio molteplice: chi l'avrebbe mai detto che si sarebbe fatto mutualismo facendo professione, facendo impresa, facendo consulenza?

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.