>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> I "numi tutelari"
(pag. 1)

> La questione della politica
(pag. 6)
INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Io dico che non c'è alternativa al fatto di accettare fino in fondo la sfida. Bisogna metterci molta soggettività nella costruzione del sociale. Mentre prima la soggettività te la dava il conflitto, qui invece te la devi produrre tu. Per rispondere alla biopolitica l'unico modo è costruire spazi liberati, movimenti liberati, pena la delega e l'identificazione. Beh, in questo siamo un grande laboratorio. Io credo, a differenza di tanti intellettuali, che bisogna essere contenti di vivere in Italia. E mica perché è bello vivere con Berlusconi, ma perché è bello vivere una nuova fase di costruzione della società che viene.
Arriviamo a Genova: posso dire che sia dal punto di vista politico sia da quello squisitamente sociologico la definizione di movimento è decisamente impropria, poiché rimanda ad una categoria tutta novecentesca. Nell'ultimo dopoguerra, ma soprattutto dopo il '68, a partire dalle forme tradizionali di composizione di classe, che riguardavano essenzialmente l'operaio-massa e i suoi aggregati, a un certo punto si è delineata una forma spuria che ci siamo abituati a chiamare "movimento": si trattava della sintesi di ciò che avveniva dentro le mura della fabbrica, dove c'era la classe operaia, e fuori dalle mura, ossia sul territorio. Da lì nasce, cresce e si aggrega l'operaio sociale. Ma quello che è apparso da Seattle in avanti non è una categoria ascrivibile a questo percorso e a simili composizioni: ciò che viene avanti oggi è una cosa che non saprei denominare se non come un percorso forte proveniente dai processi di civilisation e non più di kultur, per usare macrocategorie novecentesche. Le parole d'ordine non sono più quelle del '900, producono infatti pochissime discriminanti politiche: c'è forse qualcuno per la fame nel mondo? Qualsiasi essere umano, che riconosce il fatto di essere tale, pensa che l'altro abbia diritto a mangiare, alla tutela della salute, a un ambiente eco-compatbile e via di questo passo. Ritornando a quanto accennavo prima nell'analisi dei movimenti passati, oggi si può dire che quello che viene avanti non è il primo popolo, il tessuto della militanza novecentesca, che può essere assunto attraverso la forma-partito o quella dei portavoce, di cui costituisce una variante dolce. Non porrei quindi attenzione al primo popolo, che interpreta il secondo o rappresenta la moltitudine, ma piuttosto rifletterei proprio sul secondo popolo e sulla moltitudine: sta qui il fatto nuovo di Genova. Il secondo popolo, dunque, rappresenta le forme nuove di espressione culturale e politica, microcomunità locali che stanno nel volontariato, nelle parrocchie, nell'azione locale e in quella ambientalista; sono queste realtà ad essersi mobilitate. Pensiamo al Nord-Est, ad esempio: non c'è dubbio che molti siano stati mobilitati a partire dalla rete dei centri sociali, ma se ne facciamo un problema di numeri certamente la mobilitazione più interessante e innovativa è quella delle tante microparrocchie e microassociazioni che sono andate a Genova in nome di grandi principi umanitari e non in nome di uno scontro tra l'Impero e la moltitudine. Questo è quindi il secondo popolo che si è reso evidente a Genova, che si è mobilitato, che è cresciuto dentro le società occidentali: è fatto di azione locale, di volontariato, di comunità, di attenzione e intervento su problemi come quello della salute. Si tratta di temi che nella globalizzazione ci appaiono drammaticamente irrisolvibili, mentre invece diventano affrontabili attraverso un rapporto con l'altro da sé e con la comunità, con quello che io chiamo il mettersi in mezzo. Il secondo popolo ha imparato da tempo a mettersi in mezzo: penso ad esempio a quello straordinario laboratorio di tragedie che è stata la ex Jugoslavia, alla Bosnia, qualcosa che ha anticipato quello che oggi, dopo l'11 settembre, stiamo vivendo. Lì il secondo popolo, questo tessuto di volontariato, comunità e azione locale, si è messo in mezzo. Il militante era colui che, partendo da interessi materiali, vi coniugava le passioni. Qui, invece, molto spesso si parte non dagli interessi materiali, ma dalle passioni e dal sentire. Il secondo popolo sente più che rappresentarsi per interesse: sente, dunque, i problemi dell'ambiente, dell'immigrato, della sua identità, della salute, le grandi parole d'ordine universali.
Genova è stata anche l'espressione della moltitudine, intendendo con tale categoria la classe senza un'identità precisa. Per la prima volta nella società occidentale e nell'era moderna si è fatta avanti una composizione sociale che non nasce all'interno dei meccanismi della produzione di fabbrica, ma in una dimensione di produzione diffusa.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.