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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 8 NOVEMBRE 2001


Quello che per il sociologo francese Pierre Bourdieu è quel sistema di relazioni interpersonali tra il singolo individuo e l'ammontare di capitale umano, di reti di relazioni, di beni relazionali in grado di produrre un effetto amplificatore del singolo individuo e del suo posizionamento nella scala sociale. Ora, è chiaro che se la capacità di relazionarsi dell'individuo è sussunta solo dal primo lato della nostra dualità, dal nostro essere capitalisti, cioè, individui proprietari, le reti di relazione verranno utilizzate per ottenere il massimo di competitività del soggetto e il massimo di profitto personale e quindi il 'capitale sociale' perderà il suo aggettivo 'sociale' per essere a tutti gli effetti un capitale. Il capitalismo allora ci apparirà come naturale, anzi l'unica natura possibile. Se viceversa si parte dall'altra polarità dell'io diviso, dalla persona, e il termine capitale sociale perde, nella misura in cui è alimentato non dal desiderio di profitto ma dalla socialità, dalla reciprocità, dalla gratuità, la sua valenza competitiva e diventa bene relazionale, valore di legame, allora quello stesso capitale sociale può diventare capacità di autorganizzarsi della società, bene non individuale e scarso, ma riproducibile. Si crea società, allora, rendendo bene pubblico, disponibili ai tanti, alla moltitudine al lavoro in forma individuale, i beni relazionali che permettono di aumentare il senso, il reddito, il sapere, il comunicare e di abbassare la soglia della solitudine, dell'incertezza del futuro. Quindi, solo agendo sulle due polarità dell'io diviso, il capitalista, l'imprenditore individuale, il lavoratore individuale che tende ad ampliare il suo capitale sociale, e la persona con la sua angoscia di essere moltitudine privo di legami sociali con l'altro da sè, con la sua solitudine e con il suo desiderio di socialità, è possibile costruire società. Ricordando al primo, all'individuo proprietario, come dice il filosofo Cacciari, che "la proprietà obbliga" si riuscirà a temperare con principi di responsabilità l'animale imprenditore che è dentro di noi e solo ricordando, sempre con Cacciari, la suddetta citazione, ossia che "politica significa dire al tuo prossimo che non è solo", si svilupperanno percorsi di reciprocità, di valore di legame dentro la moltitudine che delineeranno una società possibile oltre la società e l'economia della competizione.
Credo che un'analisi attenta del voto ci dica che questo è possibile. Proprio nel nord dove era passata la prima ondata di biopolitica, o di neopopulismo, si vede che dove cominciano a sorgere elementi di autocostruzione, di autorganizzazione, di nuove forme di aggregazione dei soggetti, dove avendo lasciato le forme-partito, le forme di appartenenza precedenti, migliaia di soggetti si mettono assieme, beh, il risultato non è così devastante come si temeva. Dove ci sono state aggregazioni dal basso come la lista "Solidarietà" in Trentino, o "Insieme per il Nord" nel Veneto le cose sono andate meno peggio di quello che si prevedeva. Ovviamente, nel Mezzogiorno, dove arrivava per la prima volta, l'ondata di identificazione è passata come un fiume in piena, come del resto era successo con il leghismo e il berlusconismo al nord. Di fronte alla biopolitica, alla new economy, alla globalizzazione, vediamo che una prima forma di reazione è quella della nostalgia. Uno dice: "Ah, com'era molto più ordinata, e molto più conflittuale, molto più densa di luoghi di rappresentanza delle passioni e degli interessi, la società di un tempo". Vero, la società di un tempo ci appariva più ordinata; io, però, ho sempre pensato che dal disordine poi nascano i processi di cambiamento e mi pare che anche tutte le teorie della sinistra avessero pensato questo. E' un po' strano che adesso le uniche teorie in voga siano quelle dell'ordine... Quindi una grande nostalgia per una borghesia imprenditoriale che non c'è più, per un rapporto capitale-lavoro in cui era ben rappresentato sia il capitale che il lavoro, per un welfare che stava in mezzo e redistribuiva quel po' di risorse che poteva; quindi una grande nostalgia del fatto che tanti stessero alla catena di montaggio. Bah! Il secondo modo di reagire è quello di opporre resistenza. Ovviamente la resistenza può essere quella più becera, che vede il fascismo che avanza, ma non mi pare ci sia in giro resistenza di questo genere. L'altra resistenza invece dice: bene, a fronte di questo, ci si organizza e ogni volta che c'è un evento dei padroni, dell'economia dei flussi, della rete, si organizza la risposta; è la mobilitazione del popolo di Seattle, che è l'insieme di tutti coloro che resistono, da chi resiste per difendere il proprio formaggio, o la loro qualità della vita locale, a chi si oppone alle biotecnologie, eccetera, eccetera. Benissimo, tutte scelte anche giuste, ma io non credo che queste forme di resistenza possano risolvere i problemi di cui abbiamo parlato.

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