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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 17 OTTOBRE 2000
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e quali sono state le persone e le figure di riferimento nell'ambito di tale percorso?


Se devo interpretare il mio percorso lo faccio con due metodi, uno freddo e uno caldo: questo tanto per capirci, il che poi significa un metodo tutto orientato ai principi di razionalità e un metodo invece tutto orientato ai principi del sentire, come mi chiedete voi rispetto a una ricostruzione in cui il pensiero viene coniugato a un discorso di biografia e quindi quando si ragiona di una biografia non si può non coniugare il sentire e il pensare. Però, mantenendo questi due livelli di interpretazione, che sono poi una retorica del discorso, non è altro che questo, io credo che il livello freddo sia quello che mi fa dire che la categoria di interpretazione con cui vivo oggi è quella del sincretismo biografico. Questo non è termine mio, a ognuno il suo, è un termine che ho preso da Romano Màdera nel suo ultimo libro, "L'animale visionario"; fondamentalmente Màdera è uno che tra noi ha usato molto di più e molto meglio la categoria del sentire (tra l'altro è uno che consiglio di andare a sentire). Io credo che questa intuizione del sincretismo biografico sia importante perché è solo attraverso un processo di sincretismo biografico che io riesco a tenere assieme fondamentalmente tre o quattro cose: l'esperienza degli anni '70, sociologia a Trento, il carcere e il fatto di essere oggi un editorialista de il Corriere della Sera e uno che dirige un istituto di ricerca. Insomma, è solo attraverso un processo di sincretismo biografico che riesco a tenere assieme tutte queste cose che appartengono tutte quante alla mia vita, non ho fatto nessuna operazione di rinnegamento da questo punto di vista. Però, è ovvio che tenerle assieme è assai difficile e lo si fa solo con questo sforzo razionale in cui si cerca di tenere assieme due cose che sembrano radicalmente opposte: essenzialmente quella che era la cultura extrasistemica e invece il massimo di essere dentro il sistema, perché io faccio il sociologo e quindi so benissimo che il Corriere della Sera non è l'ultimo luogo extasistemico di questo Paese, è un luogo sistemico.
Allora, come vedo il percorso e quanto la mia memoria degli anni '70 ha inciso sulla cultura poi successiva. Io credo che in mezzo, che fa da mediazione a questo sincretismo, sempre se lo approccio attraverso la categoria della razionalità, ci vedo questa forma intermedia perché se no altrimenti sarei diventato matto, non sarei riuscito a tenere assieme questi due opposti: la forma intermedia è l'AASTER, con tutti gli annessi e connessi. Però, fondamentalmente io mi rendo conto che questo sincretismo biografico è possibile perché alla fine degli anni '70, negli anni '80 io mi sono percepito (e qui comincia anche una parte non solo di razionalità ma anche di sentire) sconfitto come generazione antagonista o come generazione che aveva sognato di cambiare il mondo. Ricordo proprio bene che la scelta definitiva avvenne dopo il 7 aprile, quando nei fatti viene messo in galera un intero ceto politico; ma il 7 aprile è stato un evento scatenante molto di più di quello che si possa immaginare perché è stata la ratifica che tutto ciò che era fuori dal sistema era comunque illegale, è stata una delle cose più pesanti, ho preso atto che quella esperienza era finita e mi sono ricordato fondamentalmente di tre cose. La prima è che dovevo comunque sopravvivere e andare nel mondo, quindi mi sono ricordato allora che avevo studiato sociologia. Questa cosa che per tutti gli anni '70 non mi era servita perché poi se io ricordo i miei percorsi, questi sono stati: la facoltà di Sociologia, poi sono venuto a Milano, poi sono entrato in Controinformazione, poi ho fatto l'esperienza di Libri Rossi insieme all'area con Balestrini e tutti gli altri, ho fatto qualche periodo con l'Autonomia Operaia, poi mi sono avvicinato all'esperienza di Alfabeta nella fase terminale e poi alla fine questo discorso qui si è proprio concluso. Dunque, arrivando dentro questo percorso mi sono reso conto per prima cosa che ero sociologo, quindi mi sono reso conto che avevo, diciamo così, una mediazione di professionalità e non solo di militanza rispetto al mondo, e questo mi pare importante.

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