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INTERVISTA A SERGIO BIANCHI - 15 OTTOBRE 2001


I primi approcci sono nati proprio dall'andare lì perché lì c'era il tipo di casino che ci interessava, perché c'erano altri come te, perché c'era un riconoscersi in un'area sociale che si andava formando. Poi da questo, però, sono nati anche rapporti formalmente politici che hanno contribuito a innalzare il dibattito nel nostro territorio, si è entrati in relazione con situazioni di lotta più alte dal punto di vista qualitativo, sia nella discussione che nella pratica. Quindi, ciò è stato fondamentale dal punto di vista della crescita, però aveva anche i suoi risvolti negativi, nel senso che quello era il periodo ('75-'76) in cui l'area dell'Autonomia non era omogenea a Milano, come ovunque peraltro, ma viveva di tensioni e divisioni tra gruppi che avevano intenzioni e progetti diversi. Dunque, questi diversi progetti, rispetto alle situazioni territoriali e provinciali che incrociavano, cercavano di stabilire egemonia, com'è normale che sia: il problema era quello delle relazioni anche a volte casuali che stabilivi con una trafila piuttosto che con un'altra. Per esempio, la zona di Como città ha seguito una trafila condizionata da quella parte di Potere Operaio che poi ha avuto relazioni con il progetto di Senza Tregua; la parte di Olgiate Comasco invece, che geograficamente dista pochi chilometri da Como, si è orientata verso l'area di Rosso. Ciò avveniva per questioni a volte casuali, di trafila di relazioni. A Milano, convivevano grosso modo quelle due aree dell'Autonomia (sto parlando del '75-'76, quindi prima che si formalizzassero le strutture armate ecc.). C'era l'area di Potere Operaio che non si era sciolta subito, che dopo aver trovato un accordo politico e programmatico con settori fuoriusciti da Lotta Continua, soprattutto con militanti del suo servizio d'ordine e con altri gruppi, aveva dato vita a Senza Tregua. Quello era un filone con un impianto teorico fortemente operaio, un'area che aveva una presenza operaia molto più forte dell'altra, quella di Rosso che, anche se veniva dalla stessa tradizione, era meno radicata dentro le realtà operai milanesi e provinciali. Quindi, era abbastanza casuale il tipo di trafila che ti trovavi a seguire. Evidentemente quella era una fase in cui quei gruppi e quelle aree dell'Autonomia andavano tentando di formalizzare e coordinare il lavoro politico, quindi anche la nostra situazione ha vissuto un po' l'esperienza del tentativo di colonizzazione, io lo chiamo così, di filiazione della situazione di movimento, perché chi se l'accaparrava riusciva poi a costruire la propria forza organizzata con maggiori diramazioni sui territori. Però, anche se questo è accaduto, la nostra situazione ha sempre mantenuto un margine di autonomia molto ampio rispetto ai processi politici centralizzati.
L'area di Rosso, però, aveva avuto su di noi una maggiore influenza. La teorizzazione dell'operaio sociale poteva sembrare una cosa bizzarra, prevedeva un innesto di tematiche che rischiavano di snaturare la tradizionale militanza in fabbrica, le tenuta della centralità operaia, per capirci. Ma per come la vedevamo noi quel tipo di intuizione era pertinente alla materialità della soggettività che ci trovavamo di fronte. Non si trattava di una concessione ai temi "fricchettoni" rispetto a quelli della condizione operaia. Te ne rendevi conto subito analizzando la situazione, facendo inchiesta. L'operaio era sociale. Quando parlavo dello studente che ci interessava proprio perché era nel contempo anche operaio volevo dire esattamente questo. Dunque, quel tipo di teorizzazione ha avuto su di noi, e subito, una grande suggestione, perché forniva un elemento di interpretazione illuminante. Era proprio quello il tipo di figura operaia che ci trovavamo davanti, un nuovo strano operaio che si scontrava con l'altro, quello più tradizionale perché legato al sindacato e al partito. Quindi, bisogna ammettere che quel tipo di intuizione per noi è stata forte e utile. Il limite semmai è consistito nel fatto che quell'intuizione non si è tradotta in un lavoro di inchiesta serio, anche se l'inchiesta è stata proposta e agita. Occorre ammettere che quel tipo di intuizione poi si è inverata negli anni successivi. Ora è una banalità dire che l'operaio è prima di tutto sociale, ma dirlo allora era una mezza bestemmia, anche rispetto ad altre componenti dell'Autonomia, non dico al sindacato o alla sinistra ufficiale, ma anche con gruppi di compagni con i quali ti trovavi a lavorare in zone circostanti. Il limite è stato quello di non lavorare con gli strumenti tradizionali e classici della nostra provenienza: in parte non ce n'è stato il tempo, l'evolversi convulso della situazione ha bruciato la possibilità di concentrarti su quel tipo di lavoro, soprattutto dopo il '77.

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