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INTERVISTA A SERGIO BIANCHI - 15 OTTOBRE 2001


Il modello della Sisme ci ha insegnato che avere un radicamento dentro una fabbrica medio-grossa era molto importante, tant'è che poi abbiamo cercato di imitare quel modello infilandoci in molti dentro l'unica fabbrica della nostra zona di concentrazione medio-alta, la Mazzuchelli, che stava a Castiglione Olona. Io sto citando dei paesi che equivalgono a dei rioni di una città, questo per dare un'idea delle brevi distanze e delle piccole aree di cui sto parlando. In quella fabbrica ci ho lavorato anch'io e lì abbiamo fatto un'operazione che controvertiva la tensione di cui parlavo all'inizio, perché se l'orientamento di massa di quei ragazzi era di dire "non ne possiamo più della fabbrica", io ero tra quelli che invece dicevano l'opposto. Io avevo avuto la fortuna perlomeno di diplomarmi, però poi sono andato a lavorare per un breve periodo in fabbrica. E lì c'è stato un grosso tentativo di avere una presenza dentro la Mazzuchelli, quindi di farsi carico di una relazione meno elementare rispetto a tutti i problemi della composizione operaia, perché non si poteva porre la questione del semplice rifiuto netto e basta.
Tutto questo faceva parte delle buone intenzioni, poi la cosa si è bruciata in tempo velocissimo per via degli eventi che storicamente conosciamo. Ciò per dare un'idea di quella che una volta si chiamava l'intenzione della centralità operaia. Francamente a noi degli studenti non ce ne importava nulla, se non di quelli che erano anche operai perché tornavano a casa e facevano lavoro nero, oppure dividevano lo studio con il lavoro, o comunque erano calati fortemente dentro un tessuto di relazioni che erano prevalentemente operaie, di lavoro dipendente classico. Da lì non si scappava, lì vivevi quella condizione, non è che si potesse far finta di niente, la società era permeata da quelle relazioni e il problema era unicamente quello. Tutto ciò che si modificava negli equilibri sociali del territorio, anche dal punto di vista istituzionale, anche per conquiste minime si fondava sulla forza che comunque proveniva dalle fabbriche, non si poteva prescindere da quel rapporto. Certamente noi abbiamo rappresentato e forzato nel movimento anche tutta un'altra serie di tematiche che poi sono state chiamate quelle "dei bisogni", per cui eravamo anche quelli aperti ad altre esperienze, per esempio avevamo preso appieno tutto il filone underground, ma ciò non ha voluto dire inquinare minimamente la consapevolezza che la questione centrale era di carattere materiale e riguardava la dimensione operaia.
La vicenda che ho raccontato può sembrare una specie di storia del "gruppo della via Pal", ma bisogna considerare che messi tutti assieme costituivamo un aggregato che contava, compresa l'area amicale larga, 500 persone. Sto parlando di iniziative e manifestazioni che siamo riusciti a fare sul territorio, certo mettendo insieme davvero tutti, mentre l'area militante quotidiana contava un centinaio di soggetti. In quel centro sociale, dove noi siamo stati veramente ogni giorno, ogni sera per un periodo lungo, per anni, si vedevano tutti i giorni cento persone, a volte di più. Questo è significativo della quantità di soggetti con cui siamo entrati in rapporto, al tipo di espansione e di realtà sociale che rappresentavamo. Facendo una divagazione, si pensi che a distanza di dieci anni dalla repressione e dalle altre cose che hanno azzerato tutto, comunque dalla fine di quell'aggregato con quelle caratteristiche, un po' per gioco alcuni di noi hanno dato vita a una lista elettorale nella cittadina di Tradate che ha guadagnato il 10,5% dei voti, cioè un punto o due in meno del Partito comunista, e una parte di queste persone avevano vissuto anche la storia della galera, erano stati additati come terroristi. Quindi, hanno ottenuto un simile risultato elettorale ed hanno portato in consiglio comunale due eletti, ciò dà l'idea del peso sociale che ha avuto quella storia. Non stiamo dunque parlando di persone che non avevano una internità alle relazioni reali, non era un qualcosa di avulso dal contesto sociale. La presenza non era solo nelle fabbriche, un altro settore forte di intervento è stato quello dell'ospedale, lì c'era il presidio ospedaliero di zona. Poi ci sono state le lotte sui consultori, c'è stata una diramazione in un ciclo di lotte sui servizi che è stato fondamentale.
A partire dalla metà del '75 sono iniziati i rapporti con Milano, ma per necessità, perché come realtà eravamo cresciuti. A Milano nel frattempo, per percorsi propri, c'era stata l'esplosione dell'area dell'Autonomia, quindi è venuto anche abbastanza naturale cercare rapporti con una situazione metropolitana. Ciò si è espresso attraverso canali molto pratici: a partire dalla metà del '75 c'erano una serie di cortei a Milano del cosiddetto proletariato giovanile, dalle periferie si convergeva sul centro, c'erano tematiche forti e coinvolgenti come quelle dell'autoriduzione e della riappropriazione di spazi fisici e merci.

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