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INTERVISTA A SERGIO BIANCHI - 15 OTTOBRE 2001


La costituenda Autonomia ha vissuto un fattaccio in zona, perché uno dei militanti storici del Gruppo Gramsci, uno dei più attivi, più riconosciuti, più generosi, è incappato in una brutta storia di lotta armata (una delle prime) che è la vicenda della fallita rapina di Argelato, il che ha creato una situazione di grande scompiglio e tensione. Quindi, di fatto, quell'area (tra l'altro maggioritaria) che avrebbe dovuto linearmente costituire la presenza dell'Autonomia a Varese, in realtà negli anni '74 e '75 era quasi nulla. Non è che questo circuito non ci fosse, ma la sede storica del Gruppo Gramsci si era estinta, le intenzioni prevedevano l'insediamento di una nuova sede che avesse il progetto politico dell'Autonomia alla sua base, e invece ciò non è accaduto. Quindi, paradossalmente si è ritrovata una situazione come la nostra a far nascere e a far vivere i contenuti dell'Autonomia, mentre i quadri politici storici stavano in città, dentro questioni un po' delicate. Di conseguenza non c'è stato un grande rapporto politico con quella realtà. Poi, passati un paio di anni, la situazione si è un po' tranquillizzata, e l'Autonomia all'inizio del '76 ha dato vita a una sua forma di rappresentanza politica vera e propria nella città di Varese. Tuttavia, è sempre stata una realtà da tutti noi vissuta con un forte disagio: infatti, mentre il nostro percorso era di costruzione reale, quotidiana, di presenza, di sviluppo di lotte, di crescita collettiva, quella varesina aveva tutto l'aspetto di una situazione prefabbricata, che non aveva nessun tipo di programma politico fortemente concentrato e attento ai problemi territoriali, al radicamento sociale ecc. Era una situazione che recitava semplicemente una serie di parole d'ordine e faceva dell'esemplificazione il proprio modo d'agire. Coglieva una situazione sociale di disagio, di comportamenti trasgressivi quando non di illegalità esplicita e cercava di amplificarli per mezzo di forzature di carattere simbolico ed esemplificativo. Insomma, si trattava di agitazione di forme spettacolari più che di costruzione di un processo di radicamento. In realtà, quel tessuto militante che ha dato vita a quella situazione prefabbricata non ha mai avuto il tipo di progetto e di pratica che avevamo noi, e ciò ha creato anche una dimensione sì di raccordo, di scambio e di coordinamento politico, ma anche una forte differenziazione che aveva la sua ragione di disaccordo in due esperienze fondamentalmente diverse. In più la situazione varesina è stata fin dall'inizio condizionata da una componente di soggettività strutturata proveniente dal settore di servizio d'ordine del Gruppo Gramsci, che viveva con una forte tensione la tematica della costituzione di un ambito di carattere armato. Quella tensione ha poi generato, alla metà del '77, una scissione interna all'ambito dell'Autonomia varesina e la costituzione di un'organizzazione armata separata, con tutti i crismi a essa connessi. Quindi, si sentiva quel tipo di tensione: traducendo in parole povere, una buona parte di quella soggettività militante poco credeva alla costruzione di un processo di movimento come lo intendevamo noi, ed era fortemente tesa alla costituzione di un progetto politico che contenesse l'elemento della pratica armata come questione strategica e si basasse quindi su un investimento di carattere soggettivo orientato in quella direzione. Questo ha dunque fatto nascere non pochi problemi di relazione con Varese.
Quanto ho detto riguarda il nord della provincia, volendo schematicamente orientare la questione in termini geografici. A sud, invece, sempre nel periodo tra il '75 e il '76, il rapporto andava meglio con l'aggregato di Saronno. Anche quello era originato da percorsi che non sono mai riuscito a capire bene in termini di formazione, perché si trattava di confluenze miste dal punto di vista della soggettività, non era una situazione puramente autonoma come la nostra. Noi eravamo proprio nati come autonomi subito, non avevamo dietro una filiazione, non eravamo figli di alcuna tradizione e di alcuna esperienza precedente. Anche generazionalmente noi non avevamo dirigenti, anagraficamente non c'era nessuno che avesse più di trent'anni, eravamo tutti ragazzi. Saronno, nonostante non fosse una situazione con una struttura di movimento forte come la nostra, si è però subito caratterizzata con un impianto politico-teorico molto più vicino a noi dal punto di vista delle intenzioni. Loro agivano con criteri che erano molto più simili ai nostri, per cui si dava materialmente uno scambio di relazioni, c'era un incontrarsi sulle lotte, stabilire campagne di intervento sul territorio che erano molto affini. Siamo poi entrati in rapporto anche con la situazione di Olgiate Comasco, una realtà molto vicina alla nostra perché si trattava di un collettivo puramente operaio, serio, dove tutta la socialità era costruita attorno alla fabbrica Sisme, una concentrazione medio-grande.

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