>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale e inizi dell'attività militante
(pag. 1)

> Rapporto tra metropoli e provincia
(pag. 4)

> Limiti e ricchezze delle esperienze operaiste
(pag. 8)

> Contingenza metropolitana e radicamento territoriale
(pag. 10)

> Ipotesi sull'operaismo
(pag. 11)

> Il nodo della politica
(pag. 11)

> I filoni di ricerca oggi
(pag. 11)

> I "numi tutelari"
(pag. 12)
INTERVISTA A SERGIO BIANCHI - 15 OTTOBRE 2001


Quella tradizione è stata velocemente assunta non solo da me ma anche da tutto il circuito di persone che, vivendo materialmente la condizione operaia, si erano trovate a rivolgere l'attenzione a quel tipo di apparato teorico che più forniva elementi utili a un impegno politico in fabbrica. Quindi, c'era una nascente struttura di consigli di fabbrica fortemente "inquinata" da elementi "estremisti", non controllati dalle confederazioni sindacali. Mi ricordo che in quella fase la FLM era una specie di zona franca, di porto di mare dove confluivano le soggettività più disparate di impegno politico, di provenienza ideologica ecc. Dunque, il mio orientamento teorico si è sviluppato immediatamente sui testi classici dell'operaismo: questa cosa è stata però anche favorita dal fatto che il gruppo egemone nella zona, che era appunto il Gruppo Gramsci, stava vivendo la fase dello scioglimento confluendo nella sua stragrande maggioranza nell'Autonomia operaia, per cui è diventato abbastanza automatico il fatto che girassero prevalentemente in quel circuito i testi teorici di derivazione operaista. Un'altra cosa che ha avuto peso dal punto di vista del mio orientamento teorico è stata la lettura dell'ultimo numero, il 50, di Potere Operaio che si intitola "Ricominciare da capo non significa tornare indietro", che erano un po' le tesi di scioglimento di una parte del gruppo di Potere operaio. Poi girava abbastanza un giornale di agitazione che si chiamava Rosso, nato nel Gruppo Gramsci e che aveva avuto in tempi brevi un innesto da parte di una serie di soggetti di provenienza operaista. Quindi, la mia formazione è stata da subito fortemente orientata rispetto a quel tipo di riferimento, anche perché le alternative che c'erano nella zona erano costituite da gruppetti più o meno insignificanti di marxisti-leninisti, oppure dall'altra parte c'era il grosso impegno sindacale che però era egemonizzato dal Partito comunista e dalle confederazioni sindacali, che in quel momento risentivano di tutta la teorizzazione del "compromesso storico". E con queste ultime posizioni il conflitto si è dato immediatamente dentro le situazioni territoriali e di fabbrica.
Altre influenze teoriche sulla mia formazione sono dipese dalla lettura dei testi classici dell'anarchismo, che però ho abbandonato perché poco utilizzabile nella contingenza che vivevo. Molto più rilevante è stato invece l'influsso dei testi situazionisti che avevo conosciuto tramite rapporti con alcuni studenti della scuola che frequentavo e che collaboravano alla rivista milanese Puzzle e soprattutto con Riccardo D'Este, un personaggio straordinario nella sua particolarità di pensiero e pratica radicale.
Tornando alla specificità di cui stavo parlando nel nostro collettivo territoriale una contraddizione si è rivelata subito proprio da un punto di vista generazionale: il nostro ambito era costituito a stragrande maggioranza da giovani e giovanissimi operai che dimostravano un'indisponibilità ad accettare le condizioni del regime di fabbrica, l'identità operaia stessa, e non avevano assolutamente intenzione di percorrere il terreno sindacale nei termini classici, di un gradualismo di lotte che puntava alla conquista di obiettivi parziali per migliorare le condizioni di vita. Quell'area di giovani operai rimase fortemente influenzata dalle tematiche operaiste: una parola d'ordine come "rifiuto del lavoro" aveva in sé una forte capacità di suggestione, nel senso che corrispondeva a un bisogno materiale e immediato di non accettare quelle condizioni di vita, solo dopo si è capito che aveva anche un suo rilevantissimo fondamento teorico. Quindi, se quello slogan era stato approcciato puramente come parola d'ordine liberatoria ma generica, confusa e un po' estremista, in realtà poi si è passati a un agire sistematico di costruzione di una consapevolezza attorno a un concetto che sembrava improponibile in un tessuto sociale che risentiva anche di una sorta di bigotteria della tradizione operaia da una parte e clericale dall'altra, perché quello era un territorio ancora fortemente egemonizzato dalla tradizione e dalla cultura cattolica. Quello fu il contesto di genesi di una vicenda che si è snodata tra la fine del '73 e per tutto il '74 attorno a un lavoro prevalentemente operaio, perché per i soggetti quello era il problema: ciò che gli interessava era fare casino dentro i posti di lavoro, contestare la condizione del regime di fabbrica. Però da lì a poco tempo si è capito che non si poteva organizzare alcun tipo di vertenza dentro le singole fabbrichette, quindi si è passati a elaborare una diversa strategia. Ciò, tra l'altro senza grandi indicazioni, perché fino al '76 non è che ci fossero chissà quali relazioni politiche con altre situazioni di lotta. Nei primi anni si era proprio un gruppo di operai, di autodidatti, anche le forme di acquisizione dei saperi viaggiavano senza alcun tipo di trasmissione da parte di personaggi che avevano dietro una certa memoria.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.