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INTERVISTA A FRANCO "BIFO" BERARDI - 19 NOVEMBRE 2000


Quindi, a quel punto quando parliamo di autorganizzazione non pensiamo più soltanto alla fabbrica, ma il processo di autorganizzazione significa la vita quotidiana, la forma dei rapporti urbani, il rapporto tra classe o tra proletariato giovanile e ambiente urbano. Anche quello di proletariato giovanile è un concetto che risente di questa contaminazione tra problematica operaistica classica e dimensione urbana non più riducibile all'identità operaia. Però, al di là di questi elementi fenomenologici, relativi alla nuova composizione sociale, il metodo resta il medesimo, cioè resta quello secondo cui l'azione politica non è azione di direzione, ma è lo strumento dell'autorganizzazione sociale.


Analizzando le esperienze politiche a cui sei stato interno e i movimenti che si sono sviluppati negli anni '70, hai evidenziato quelli che sono stati i limiti di un'impostazione organizzativa che ha rischiato di tendere alla chiusura in partitini che riproducevano impostazioni tradizionali. Tuttavia si pone il nodo che è rimasto irrisolto (nella teoria e nella pratica) del rapporto tra movimenti e forme organizzative: se da una parte si è teso alla chiusura in orticelli precostituiti, dalla parte di quella che tu definisci una posizione spontaneista si è evidenziato il problema del non sedimentare passaggi effettivi che dessero efficacia, efficienza e progettualità all'agire politico. Dunque, quali sono i limiti che tu analizzi per quanto riguarda questa posizione che tu chiami spontaneista?

Dal mio punto di vista la mancata continuità organizzativa non è affatto responsabilità dello spontaneismo ma è tutto il contrario. Cerco di spiegarmi. Si pensi a quello che succede dopo il '77, diciamo dopo il convegno di settembre: succede che si ha un movimento che socialmente aveva raggiunto una vastità considerevole e che in fondo conteneva al proprio interno una quantità di competenze sociali, scientifiche, tecnologiche, comunicative che poi abbiamo visto all'opera nei vent'anni successivi, nel senso che se oggi cerchi di vedere, molto di quello che è successo di nuovo sul piano scientifico, culturale, comunicativo e perfino industriale, scopri che per buona parte le energie nuove si sono formate nelle esperienze operaiste. E poi potrei anche dire dei nomi, insomma Potere Operaio e Lotta Continua: da lì, da quell'ambito viene fuori buona parte del personale politico dell'innovazione degli anni '80 e '90. Bene, noi abbiamo rinchiuso quelle potenzialità dentro la forma organizzativa, contemporaneamente esplode un movimento, del quale noi vogliamo essere la direzione, ma quando questo movimento giunge al culmine, diciamo nel '77 e poi particolarmente nel convegno del settembre '77, non c'è assolutamente la capacità (questa è la stupidaggine più grossa che abbiamo fatto) e l'idea di dare una forma direttamente sociale a quelle potenzialità, cioè di dire "da questo momento in avanti noi costituiamo centri di autorganizzazione sociale, radio, televisioni, agenzie di informazione, questo e quello". Invece, tutto questo viene riproposto all'interno della forma di organizzazione classica. Allora, per le forme di organizzazione extraparlamentare e tradizionale questo pone un momento di tensione fortissima, fine di Lotta Continua, creazione dei gruppi dell'Autonomia che hanno continuato a sopravvivere in maniera sempre più grama. Nel riflusso del post-'77 questo ha finito poi per diventare la forma rigida vorrei dire dell'organizzazione stalinista: certo, nell'esperienza delle Brigate Rosse esplicitamente stalinista. E contemporaneamente noi (penso agli anni tra il '77 e i primi anni '80) ci siamo perduti per strada il 90% della ricchezza sociale che si era andata costituendo. Naturalmente lì bisogna anche tenere conto del fatto che di mezzo c'è il 7 aprile, che non è un episodio di scarso rilievo: al di là del peso quantitativo e del numero di persone coinvolte, l'effetto politico distruttivo di quell'evento è come una bomba atomica. E il 7 aprile non ce lo siamo cercati, è stata proprio un'iniziativa politica di parte statale da nessun punto di vista giustificata. Però, noi in quel periodo, invece di pensare che dovevamo continuare il gioco del muro contro muro, già dal settembre del '77 dovevamo essere capaci di dire "qua l'esperienza leninista è finita, perché è finita già da tempo ma ora lo è in maniera evidente, e iniziamo un'esperienza di autorganizzazione sociale simile a quella che in Germania si è prodotta". Gli anni '80 tedeschi sono stati molto più interessanti e più vivi che quelli italiani anche perché il movimento ha saputo darsi delle forme di autorganizzazione territoriale, sociale e così via: in Italia non abbiamo avuto né la possibilità, a causa dell'attacco repressivo, ma neanche l'intelligenza.

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