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INTERVISTA A FRANCO "BIFO" BERARDI - 19 NOVEMBRE 2000


Mi è sempre un po' dispiaciuta l'identificazione di PO come organizzazione, ma era invece (e in questo senso io lo valorizzavo) un nucleo di elaborazione teorica vorrei dire, cioè era il luogo nel quale un certo numero di persone che provengono dalle esperienze più differenti elaborava ipotesi, teorie, cose di ogni genere, che poi trovavano la verifica politica nel movimento, ma che non si doveva sovrapporre in qualche modo al movimento. Ovviamente la mia era un'impostazione (così si definiva allora, così credo che possiamo definirla) di tipo spontaneista; poi se volessimo trovarle dei titoli nobili potremmo dire anarcosindacalista. Ammetto che l'impostazione anarcosindacalista mi è sempre parsa quella più affascinante, mi riferisco soprattutto all'esperienza dei Wobblies, degli International Workers of the World americani: è un'esperienza in cui l'autorganizzazione non ha una dimensione politica formale e ufficiale, questa mi è sempre sembrata la cosa con cui mi identificavo di più.
Il problema di questa sorta di differenziazione tra esperienza di movimento e momento dell'elaborazione è certamente entrato in crisi a partire dal gennaio del 1970, quando c'è stato il convegno di Firenze, il primo convegno (o congresso, non so) di Potere Operaio. In realtà quello non aveva nessun carattere di ufficialità, si trattava di un incontro molto informale, molto di ricerca; però, al tempo stesso cominciava a trasparire un progetto, un'intenzionalità che aveva un carattere esplicitamente leninista, bolscevico, anzi è la prima volta che io sento parlare del leninismo come il progetto che deve diventare elemento di definizione del gruppo. Ricordo con molta precisione, peraltro devo chiarire che io sono praticamente malato di una specie di superfetazione della memoria, ma non c'entra niente Potere Operaio, sono in grado di ricordarmi il gelato che ho mangiato il 14 di giugno del 1961, se era alla vaniglia o al cioccolato e così via! Comunque, ricordo molto bene la dinamica di quel convegno: la componente romana essenzialmente (Piperno, Ceccotti e così via) che sostenevano in maniera esplicita un discorso di formalizzazione politica di partito; mi pare che Negri lì avesse una posizione più ragionevole, però sostanzialmente attratta dalla posizione dei romani; poi c'era invece la posizione di Sergio Bologna che a questa cosa resisteva in maniera implicita, però non polemica, forse perché la polemica non è poi nel suo stile; e invece il gruppo di Porto Marghera, io e alcuni altri bolognesi che eravamo lì che ci opponevamo a questa cosa in maniera esplicita. Negli atti del convegno (che poi sono stati pubblicati) ci sono due interventi, uno dei quali quello mio, in cui la proposta della bolscevizzazione viene respinta radicalmente. Poi bisognerà dire che a quello che non so se si chiamava convegno o congresso l'ipotesi dei romani uscì maggioritaria: il giornale da quel momento in poi cominciò a caratterizzarsi su una posizione molto più impoverita. Se si segue la prima serie di Potere Operaio, quella dell'autunno del '69, e poi invece quella della primavera del '70, io ho l'impressione che si noti un impoverimento drastico del discorso, anche del linguaggio, vorrei anche dire della grafica. E' come se da una fase sperimentale e spontaneista si fosse passati in qualche modo a scimmiottare un linguaggio più m-l. Nei mesi della primavera del '70 stavo tra Bologna e Torino, ma in ogni caso il mio rapporto con la sezione bolognese di Potere Operaio comincia a diventare un po' più problematico perché sede per sede, città per città, il problema del rapporto tra linea spontaneista (fino a quel momento vorrei dire predominante) e linea bolscevica cominciava a porsi. Quindi, ad esempio nel periodo subito dopo il convegno di Firenze mi ricordo che io e Franco Piro (che in quel momento era segretario della sezione bolognese) andammo ad incontrare quelli di Porto Marghera, c'era Augusto Finzi e un certo numero di operai del Petrolchimico e di militanti, non mi ricordo esattamente chi ma erano molti: la discussione fu tutta puntata sul come impedire che Potere Operaio andasse sulla strada della bolscevizzazione. Questo per dire che il tentativo di fermare quella scelta fu almeno abbozzato in maniera seria: non durò molto, perché poi debbo dire che eravamo evidentemente in minoranzissima, alcune realtà come Porto Marghera e Bologna e direi basta, poi delle persone come Sergio Bologna, che aveva una posizione molto dubbiosa ma che non credo che avesse voglia di impegnarsi in una battaglia. Quindi, direi che nel corso della primavera del '70 le resistenze antibolsceviche, per dire così, si sono rapidamente dissolte. A quel punto Franco Piro, il quale non è mai stato un mostro di coerenza e invece ha sempre avuto una predilezione diciamo per il potere anche (nella piccola misura, successivamente ha pensato alle cose in grande), dopo qualche mese scelse di allinearsi sulla posizione nazionale. Io mi ricordo che fu una cosa anche proprio di dispiacere personale, vivevamo insieme, stavamo nella stessa casa in quel periodo, per cui il fatto che lui avesse deciso di assumersi questa responsabilità mi parve una cosa personalmente sgradevole. Io con Franco avevo avuto un rapporto molto intenso fra il '68, il '69 e il '70, poi da quel momento abbiamo un po' allentato ogni rapporto, io ho anche cambiato casa a un certo punto.

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