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INTERVISTA A FRANCO "BIFO" BERARDI - 19 NOVEMBRE 2000


C'erano delle richieste soprattutto relative al salario, aumenti in paga base e così via: a quel punto è intervenuto il sindacato e lo sciopero è diventato ufficiale, organizzato con tutti i crismi, è durato per un certo periodo di tempo, mi pare da ottobre a dicembre del '68. Alla fine sul piano salariale si è ottenuta una vittoria notevolissima: la cosa che mi dava molto orgoglio era il fatto di sapere che il padrone, tal Romagnoli, andava dicendo in giro che io gli avevo personalmente rubato una cosa come non mi ricordo quante centinaia di milioni, perché aveva fatto i calcoli e quello era ciò che gli costava quella cosa che lui imputava personalmente a me perché per un anno stavo lì davanti. Questa è stata la mia esperienza di raccordo diretto fra situazione degli studenti e situazione operaia. Anche perché poi alla fine di questa vicenda, quando sono partiti gli scioperi, il picchetto era già cosa abbastanza nuova. Siamo nell'autunno del '68, c'era già stata l'estate di Porto Marghera, però ancora eravamo agli inizi, il rapporto operai-studenti si stava in quei mesi sperimentando e a Bologna i picchetti comuni in quella occasione erano stati una cosa importante. L'esperienza della Ico ha cominciato a farmi riflettere sulla questione che poi ha caratterizzato tutto il mio rapporto successivo con Potere Operaio, che è il problema dell'organizzazione, che è il punto su cui io ho sviluppato dapprima una forte identificazione nell'ipotesi di PO, mentre da un certo momento in poi ho anche sentito che il mio rapporto con PO andava in crisi. Dunque, era la questione dell'organizzazione: in che senso? Fin dalla lettura dei Quaderni Rossi e di Classe Operaia, lettura che avevo fatto da quattordici anni in poi, quindi certamente un elemento di formazione primaria per quanto mi riguarda, la cosa che mi aveva convinto in quella impostazione lì era l'idea secondo cui il problema dell'organizzazione non è il problema di soggettività ma è il problema di composizione. Naturalmente adesso lo dico con delle parole che forse non avrei usato allora, però il concetto mi era assolutamente chiaro: il problema dell'organizzazione non è il problema del partito, non è il problema della costituzione di un nucleo di soggettività esterno rispetto al processo, è tutt'uno con il processo medesimo. Anzi, ricordo che nel maggio del '68 era in corso una vicenda pisana, perché mi pare che fossero stati arrestati una decina di studenti per una cosa accaduta a Pisa, ci fu una manifestazione nazionale l'11 maggio del '68: in essa io e gli altri due che costituivamo il nucleo originario di Potere Operaio a Bologna distribuimmo un documento tutto centrato sul tema dell'organizzazione la cui tesi era che il compito del movimento degli studenti era stimolare una forma di autorganizzazione che esplicitamente non si costituisse in partito. Quindi, diciamo che stavamo già assumendo come punto di riferimento polemico ovviamente il marxismo-leninismo, l'Unione e tutte queste formazioni qui, ma anche quelle ipotesi che, all'interno della stessa area operaista, si muovevano verso una formulazione di un'ipotesi di tipo organizzativista, soggettivista, di partito. Ecco, questa questione, sulla faccenda della Ico, diventò per me un po' un elemento di prova, perché lì era facile convincere quattro operai a partecipare alle riunioni di Potere Operaio, cosa che facemmo anche per un po'; poi io mi opposi all'idea che gli operai della Ico dovevano diventare militanti del gruppo, mi sembrava una cosa che avrebbe finito per rovinare i rapporti con la situazione di massa, con la fabbrica ecc., e proposi che le riunioni si facessero soltanto nel bar davanti alla Ico e così via, e che la finisse questa pratica di portarsi gli operai a casa per costituire con loro una struttura organizzativa. Ora non voglio esagerare l'importanza della questione, ma dal mio punto di vista questo è stato un po' l'elemento di riflessione critica, da un certo momento in poi decisamente critica, nei confronti della storia di Potere Operaio.
Nel '69 io sono stato a Bologna nel corso della primavera e poi invece l'autunno dello stesso anno l'ho fatto prevalentemente a Milano, dove con Toni Verità facevamo intervento alla Autobianchi di Desio e per un certo periodo anche all'Alfa Romeo di Arese, dove mi ricordo che distribuii il volantino sulla conclusione del contratto dopo il 19 novembre, in cui si diceva una cosa come "ecco il primo contratto bidone" e mi presi un cazzottone da parte di un dirigente sindacale. Comunque, l'autunno del '69 l'ho fatto a Milano. Debbo dire anche che il rapporto con Potere Operaio in qualche misura lo vivevo in maniera sovrapposta rispetto al rapporto più interno alle vicende del movimento studentesco bolognese, in quanto da una parte ero militante del Collettivo di Filosofia di Bologna, e quella era in qualche modo la mia collocazione sociale più naturale; poi dall'altra parte invece partecipavo alle riunioni nazionali o a quelle locali di Potere Operaio. Io non intervenivo alle assemblee studentesche come Potere Operaio, intervenivo perché ero io, come studente; questo ancora una volta era in qualche modo un po' la convinzione che io avevo di una separazione organizzativa, per cui il movimento si dà le proprie forme di organizzazione e il gruppo o la struttura politica Potere Operaio per me non era un'organizzazione.

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