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INTERVISTA A FRANCO "BIFO" BERARDI - 19 NOVEMBRE 2000


Debbo dire che poi non diciamo la contrapposizione ma la separazione sempre più chiara tra una componente leninista e una componente che si può chiamare spontaneista o come ci pare (io uso l'espressione composizionista, oppongo il composizionismo al leninismo, ma non ha importanza), quella differenziazione per me era già chiara nel '70-'71. Però, debbo dire che a livello di movimento il problema era percepito in maniera mi pare abbastanza sfumata, mentre dentro Potere Operaio sì ovviamente, il problema era all'ordine del giorno. Nel '76 questa questione diventa assolutamente chiara: da una parte c'è l'esperienza di Rosso, io per un periodo ho lavorato nella redazione di Rosso alla fine del '75 e ho rotto nel dicembre di quell'anno. L'occasione della rottura è stata un corteo femminista nel dicembre del '75 a Roma nel quale si introdusse il servizio d'ordine dell'Autonomia Operaia di Centocelle e il servizio d'ordine di Lotta Continua che pretesero di entrare nel corteo femminista, ci fu un piccolo scambio di insulti e anche qualche schiaffone; io ero in redazione a Rosso e chiusi il giornale scrivendo in prima pagina "Attacco squadrista contro un corteo femminista di militanti dell'Autonomia". La cosa mi provocò uno schiaffone da parte di Daniele Pifano, che si precipitò in redazione, e uno scontro violentissimo con lo stesso Pifano, Miliucci e anche con Negri, dopo di che io considerai concluso il mio rapporto con Rosso, abbandonai la redazione, ma in fondo considerai concluso il mio rapporto con l'Autonomia organizzata milanese e romana. Poi come sempre le mie rotture tenevano conto che c'erano dei miei amici lì, non è che potevo non salutarli per strada, però in qualche modo la separazione era compiuta. Debbo dire che la separazione è diventata poi utile negli anni successivi perché il movimento di Bologna ha avuto una caratterizzazione esplicitamente e marcatamente distinta da quella dell'Autonomia padovana-milanese. Lì debbo dire che il problema si ripropone, ancora una volta il problema Lenin mi pare un impaccio, una cosa che ti costringe a parlare di argomenti che non appartengono più al presente e che comunque ripropongono sempre il rapporto tra lavoro intellettuale e lavoro operaio nei termini che non sono più quelli all'ordine del giorno.


A proposito del discorso sul general intellect, categoria molto usata negli ultimi anni soprattutto in relazione al cosiddetto postfordismo, c'è una critica che viene fatta: il rischio di guardare ad una gerarchia professionale e capitalistica e di riproporla immediatamente come gerarchia politica, nel senso del porre chi ha più competenze professionali automaticamente come soggetto trainante a livello politico. La sovrapposizione immediata tra la gerarchia professionale e quella politica è stata ciò che ha caratterizzato il socialismo reale, per cui la cellula politica di fabbrica era quella che aveva maggiori competenze professionali.

Riguardo al concetto di general intellect non mi pare che la questione sia questa, anche perché il ragionamento che lì svolge Marx non è un ragionamento di tipo politico, è un ragionamento sulla composizione sociale e sulla potenza produttiva, se si vuole anche politica che questa composizione sociale rende possibile. In quelle pagine dei "Grundrisse" il general intellect non è indicato come il settore avanzato, come il reparto d'avanguardia, come la forza politica di organizzazione: niente di tutto questo, è indicato come la potenza oggettiva di trasformazione del processo di produzione capitalistico. Cioè non c'è un'accentuazione di tipo sovversivo nel concetto di general intellect, questo verrà da sé. La potenza che il general intellect mette in moto all'interno del processo di produzione globale cosa determina? Determina la possibilità di un'emancipazione dal lavoro, questo è il ruolo che obiettivamente svolge il general intellect. La soggettivizzazione del concetto di general intellect non è nelle pagine dei "Grundrisse", cioè non è che Marx dice "voi che rappresentate il general intellect adesso organizzatevi per far questo e per far quello", non c'è questo. Le parole che lui usa sono: "la potenza sociale della scienza e della tecnologia (o della tecnica) all'interno del processo di produzione di plusvalore ha queste linee di tendenza e giunge il momento nel quale gli uomini cessano di fare ciò che le macchine possono fare al posto loro"; non è che dice "dovete organizzarvi perché questo diventi possibile". Lì in quelle pagine direi che proprio la tensione soggettivista è ridotta al minimo, quasi allo zero.

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