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INTERVISTA A PAOLO BENVEGNU' - 13 SETTEMBRE 2001


Rispetto ai movimenti che oggi si stanno affacciando sulla scena, quali sono, a tuo giudizio, i nodi politici aperti?


Il primo problema è quello di fare fuori politicamente tutta questa lettura apologetica sul postfordismo. Ci sono state delle proposte culturali, dei libri e dei testi che sicuramente hanno fatto danni da questo punto di vista, nel senso che hanno contribuito ad oscurare un elemento che oggi è più importante e più visibile di ieri, ossia la ripresa di una nuova soggettività di massa di parte operaia, che si incontra (e questo è il dato sicuramente straordinario e importante) con una ripresa generale dei movimenti. Non è che nascano a caso, non c'è nulla che non abbia radici profonde. Nel Veneto abbiamo avuto una partecipazione straordinaria ai cortei dei metalmeccanici che hanno portato in piazza e reso visibile questa nuova soggettività di massa di parte operaia, soprattutto lavoratori giovani. La cosa che mi ha più colpito al corteo dei metalmeccanici a Padova era la partecipazione molto consistente delle lavoratrici della Omnitel, che sono contrattualmente inquadrate tra i metalmeccanici, anche se non c'entrano proprio per niente con quello che è l'operaio di fabbrica classico, se non perché anche all'interno di questi che sono i punti più alti dell'innovazione capitalistica, i settori avanzati della new economy, si riproducono un po' i sistemi e i metodi della catena di montaggio, sia nei modelli organizzativi interni sia nelle modalità non solo dell'assunzione ma anche contestualmente all'interno del lavorare. Noi qua non abbiamo la fabbrica fordista, abbiamo una diffusione della catena di montaggio. Ciò si può vedere anche tra i cosiddetti lavoratori autonomi: se non è quello ad alta professionalità, che può essere paragonato al professionista in senso classico, anche questi sono soggetti che sono legati ai tempi e ai metodi di una catena di montaggio che si è diffusa nel territorio: non si concentra più nella grande fabbrica, ma è dispersa e strutturata dentro la fabbrica a rete. Il problema di ridurre sempre i tempi in cui una determinata operazione viene fatta non è un rimosso dal punto di vista capitalistico, ma è per esso una conquista che si riproduce: recenti studi in cui questi dati vengono resi pubblici dimostrano che è sempre questa la tendenza. I compagni di Altreragioni sottolineano come in Francia (dove questi dati ci sono) si dimostra che resta sempre dal punto di vista capitalistico il problema del tempo, e quindi della quantità di operazioni che si fanno in una giornata, in un'ora, in un quarto d'ora. La Zanussi che mette all'asta una certa quantità di lavoro e di produzione tra i suoi stabilimenti che ha in Europa, su quale base lo fa? Sulla base della disponibilità della forza-lavoro che sta in questo stabilimento piuttosto che in un altro di ridurre sostanzialmente i tempi in cui viene fatta una determinata operazione, perché di questo si parla. Il padroncino che va in competizione con un altro padroncino per portare x pezzi in quella fabbrica, può avere anche altri elementi, ma quello alla fine determinante è il fatto che si riescano a fare x pezzi in un determinato tempo. Non è solo il problema che la valorizzazione capitalistica passa comunque attraverso questo, perché lo scontro è sempre su questo tipo di terreno. La cosa straordinaria è che se noi andiamo a leggere all'interno di una qualsiasi realtà produttiva anche i comportamenti soggettivi, il modo di rapportarsi al lavoro, lo scontro è sempre sul fatto poi di quanto ti fanno lavorare e quanto tu riesci a non lavorare, quanto riescono a sfruttare la tua forza-lavoro e quanto tu riesci a non farti sfruttare. Questo è un problema che si può porre collettivamente ma che può essere posto anche nel comportamento del singolo operaio, pure nella forma dello spostarsi da un posto di lavoro all'altro, sulla base anche di questa ragione e non solo di una motivazione economica che pure è rilevante e importante.

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