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INTERVISTA A PAOLO BENVEGNU' - 13 SETTEMBRE 2001


Dalla presente ricerca emerge un'ipotesi sulle esperienze del trascorso operaismo. Se questo da una parte è riuscito a rompere e ad andare avanti rispetto alla tradizione socialcomunista in una lettura socio-economica nuova e soprattutto nell'individuazione dell'operaio-massa non solo come figura anticapitalista ma anche per la sua potenziale capacità di muoversi contro se stesso, dall'altra parte non si è riusciti a rielaborare un progetto politico nuovo.


Non solo di tipo nuovo, secondo me c'era un'ansia eccessiva, nel senso che le intuizioni dal punto di vista della teoria e la necessità di differenziarsi rispetto ad altre soggettività e ad altre proposte, spingevano ad anticipare i tempi della reale maturazione dei processi. Era come non comprendere che i tempi sono comunque lunghi e ci vuole un percorso di consolidamento, di rafforzamento, di insediamento anche culturale, di costruzione di un senso comune attorno a proposte che possono essere concrete e realistiche, però non basta vincere sul terreno della teoria, bisogna vincere anche sul terreno della pratica, bisogna poi essere capaci di trasportare lì tutto il resto. La capacità teorica e l'intuizione è stata formidabile, perché certamente la lotta al Petrolchimico sugli aumenti uguali per tutti nel '68 è stata veramente un'eccezionale anticipazione; ma questo elemento di formidabile anticipazione poi non è diventato capacità reale di egemonia sui movimenti, perché sono stati fatti degli errori grandi. Uno sbaglio importante è, per esempio, stato quello di non comprendere che la scelta fatta allora dal sindacato di formare il sindacato dei consigli era una bella risposta: in realtà, ci siamo separati dal contesto che avevamo in qualche maniera contribuito a far crescere. Poi c'è stata l'idea forte e certamente vissuta e partecipata da moltissimi compagni e avanguardie che si potesse arrivare veramente alla rottura: però, non è stato così, noi abbiamo perso clamorosamente pensando che fosse possibile in quel contesto e in quella situazione dare l'assalto al cielo, pur essendoci elementi che potevano anche andare nella direzione di un'analisi e di una proposta di un certo tipo. Non era vero, noi abbiamo fatto un errore che si può dire strategico, non siamo stati capaci di comprendere che probabilmente il problema della rivoluzione in Occidente doveva porsi in altro modo.


Ci fu anche un'incapacità nel guardare alla dimensione del processo. Il discorso sull'irreversibilità dei rapporti di forza, ad esempio, andava proprio nella direzione opposta: questi possono crescere e poi ritornare indietro, non si può pensare che essi stiano su una freccia unidirezionale e immanentemente orientata. Viceversa, si finisce per pensare che la rivoluzione sia sempre dietro l'angolo, non considerando invece la dinamica costruzione di percorsi capaci di stare dentro i processi, per rovesciarli, romperli e trasformarli, ma non certo negandone l'esistenza.

Adesso non so se bisogna riferirsi ai tempi lunghi di Braudel, però bisognava guardare a processi molto più ampi. Guido Bianchini sintetizzava in maniera molto semplice certi ragionamenti dicendo che noi non dovevamo partire dalla rivoluzione d'ottobre, perché questa era stata un colpo di culo! Nella storia possono starci i colpi di culo, per carità, però non capitano sempre.


A proposito di Guido Bianchini, che è una delle figure centrali che purtroppo non possiamo più sentire, potresti tracciare un profilo dell'importanza che ha avuto per il suo pensiero e il suo agire politico?

Adesso ho riportato questa battuta di Guido, che però non era solo tale ma proprio un modo suo di riflettere e di pensare sulle cose. Quindi, anche il suo distaccarsi all'inizio di un certo tipo di dibattito e discussione, la sua presa di distanza era comunque significativa. Però, ci sono compagni che possono dire più di me rispetto a queste cose, io non mi sento adeguato: all'epoca ero molto giovane, le mie frequentazioni erano sicuramente rare rispetto a questi compagni con cui, per tutta una serie di vicende, ci siamo in seguito visti poco. Con Guido ho avuto modo di parlare e di vedermi un paio di volte dopo anni, poco prima che lui morisse. Una sera, ad esempio, presentammo il libro di Cartosio insieme alla redazione di Altreragioni e poi in un'altra occasione, e lui aveva sempre questa capacità di sintetizzare in battute molto efficaci discorsi politici generali. Io ho avuto la fortuna di essere invitato alla presentazione dell'ultimo libro di Luciano Ferrari Bravo a Verona, però ci sono compagni che possono parlare meglio di me sia di Luciano sia di Guido.

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