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INTERVISTA A PAOLO BENVEGNU' - 13 SETTEMBRE 2001


Al di là dei mezzi e dei sistemi che sicuramente sono importanti, perché le tecniche hanno comunque la loro rilevanza, io credo che l'elemento importante di novità e anche la base materiale su cui si sviluppano questi movimenti sia un altro. Citavo prima il discorso sui contadini, che possono essere i Sem Terra o i contadini francesi o alcuni segmenti del mondo del lavoro agricolo nel nostro paese, che entrano in contraddizione obiettiva e materiale con quelli che sono i processi di valorizzazione del capitale. Allo stesso modo entra in contraddizione con questi la stessa riproduzione della vita del paese, le condizioni in cui si riproduce la vita sono quelle che conosciamo, e la necessità intrinseca del capitale alla valorizzazione entra in contraddizione con questi processi. Io credo che questo sia l'elemento fondamentale. Come diceva Marx, insomma: il capitale ha bisogno di valorizzarsi come se in corpo avesse l'amore. Dunque, un capitale non esiste indipendentemente da queste possibilità di crescere e di valorizzarsi: è una spinta interiore potente e ineludibile, e non riguarda il singolo capitalista ma riguarda il capitale. I capitalisti veneti hanno accumulato enormi capitali sullo sfruttamento della forza-lavoro facendo un mazzo così agli operai in fabbrica: oggi cosa stanno facendo? Stanno praticamente comprando tutto, stanno comprando gli aeroporti, le municipalizzate, le autostrade: investono i loro capitali in segmenti e in settori che prima erano estranei, e in questi importano e impongono un modello capitalistico. Quindi, i rapporti che sono propri del modo di produzione capitalistico e delle necessità intrinseche di valorizzazione sono obiettivamente in contraddizione con bisogni e aree sempre più vaste della società. Hanno vinto, ma non hanno convinto: si sta creando su questa base un'opposizione sempre più larga. E ciò non solo nelle periferie, ma anche nel cuore dell'impero. Questi movimenti si muovono su scala globale ma hanno un forte radicamento e hanno dimostrato una grande potenzialità di crescita in paesi che sono dentro il cuore dell'impero, dell'Occidente capitalistico.


Se tu dovessi fare una domanda a una delle persone che sono state interne alle esperienze operaiste, che domanda faresti e a chi?

A me interessa l'interlocuzione in particolare con Ferruccio Gambino. Io credo che lui abbia fatto in questi anni un lavoro straordinario di resistenza ad alcune mode intellettuali e ad alcune culture che oggi hanno in realtà perso la loro capacità di impatto perché si devono confrontare con i dati materiali della realtà. Questo lavoro è stato importante perché ha mantenuto ferma la barra sulla lettura e l'analisi concerta della realtà. C'è questa sua insistenza nella critica alle analisi postfordiste, che portano ad una perdita nella capacità di lettura della realtà e della situazione complessiva: la dimensione che ha assunto il lavoro su scala planetaria va in contraddizione con tutte le teorie della fine del lavoro, della perdita di consistenza del lavoro salariato come soggetto antagonista. Perché poi alla fine, gira e rigira, questa produzione teorica andava nella direzione di oscurare questo elemento che è ancora vitale e centrale della contraddizione, della possibilità comunque di superare il modo di produzione capitalistico.


L'operaismo, rompendo in questo con la tradizione socialcomunista, aveva proposto come elemento forte il discorso del rifiuto e della lotta contro il lavoro senza aggettivi, non quindi del lavoro salariato, intendendo con lavoro non la generica attività umana, bensì l'attività che dà capitale. Ciò scandalizzò (e scandalizzerebbe oggi, se ci fosse qualcosa del genere) la sinistra in generale, riformista o rivoluzionaria che fosse, formatasi su una cultura lavorista, sviluppista, tecnicista, scientista. Quanto è rimasto di quel discorso, quanto si è perso, cosa può essere oggi riproponibile?

Per me rimane sempre un tema centrale, perché è il cuore della critica al modo di produzione capitalistico. Liberarsi dal lavoro significa liberarsi dal lavoro salariato, liberarsi dalla costrizione al lavoro significa rendere attuale una possibilità di superamento del modo di produzione capitalistico. Mi pare che poi ora sia una necessità ancor più evidente: adesso la messa al lavoro e il lavoro non sono neanche più un elemento di progresso e di crescita civile e sociale, diventano veramente antagonisti.

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