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> Percorso di formazione politica e culturale e inizi dell'attività militante
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INTERVISTA A MARCO BASCETTA - 16 OTTOBRE 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e l'inizio della tua attività militante?


Il mio è un percorso piuttosto classico di studente medio del '68, all'epoca avevo 16 anni: ho cominciato con le lotte nei licei, che avevano già l'università come punto di riferimento, quindi con i conflitti nelle scuole dove circolava molta ideologia spicciola, ma anche tanta voglia di conoscere, di scoprire un contesto sociale più vasto e di trovare una propria collocazione in questo ambito Dentro questi conflitti cominciavano a circolare delle letture, molte letture e questo era un fatto fondamentale, frequentando anche gli universitari e gli studenti più grandi venivano suggeriti o trasmessi numerosi testi. Il tipo di letture e di contatti che anche molto casualmente finivi con l'avere ti indirizzavano in una certa direzione di pensiero piuttosto che in un'altra, certe cose ti apparivano come un'apertura sul nuovo, altre meno. Tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70 le letture sulle quali siamo capitati noi (ossia un vivace gruppo di un liceo romano) erano i Quaderni Rossi, "Operai e capitale", Contropiano, era la prima traduzione italiana dei "Grundrisse" che appariva proprio in quegli anni, oltre alla scuola di Francoforte e autori come Hans Jurgen Krahl e Sohn Rethel. Il particolare azzardo teorico che si trovava in questi testi ha avuto un elemento di forte attrazione per me e per altri compagni dell'epoca, perché sembrava tradurre un pensiero di alto profilo teorico in una prassi possibile. Riusciva cioè a restituire la ricchezza delle prassi attraverso le sue implicazioni teoriche, e la potenza della teoria attraverso la sua incarnazione pratica. Sulla base di queste letture e di queste prime esperienze: lotte in corso, forti, vincenti e che mettevano in campo nuovi soggetti, quando l'insieme del movimento si è andato frammentando in organizzazioni politiche ci siamo trovati più vicino a Potere Operaio, che aveva raccolto questa tradizione all'interno del movimento degli studenti e poi del movimento studenti-operai del '69-'70. Successivamente molti si sono allontanati dalla prassi organizzativa del gruppo, ma è rimasta questa impostazione di fondo che riguardava soprattutto un certo modo di leggere il conflitto. Anche in molti compagni che non sono rimasti dentro Potere Operaio e nell'esperienza posteriore dell'Autonomia fino alla fine degli anni '70, ma che hanno abbandonato l'attività politica diretta o si sono inseriti dentro strutture particolari di lavoro, è rimasta questa impostazione e questo modo di leggere la realtà che poi è rivenuto fuori anche alla fine degli anni '80 e nei primi anni '90, quando si riallaciavano alcuni nodi. Questa lettura era sostanzialmente l'idea del conflitto come motore, un elemento indispensabile alla dinamica sociale: un conflitto che non era letto in termini morali di equa redistribuzione delle risorse, ma in termini di potere, di produzione di modi di vita.In modo materialistico. Circolava una parola d'ordine assai famosa all'epoca che diceva: "la classe operaia è una variabile indipendente", quindi un elemento che non si lasciava governare dalle compatibilità del sistema economico, ma in questa sua indipendenza ed autonomia lo sospingeva a un gioco di azioni e reazioni che dislocava diversamente gli equilibri generali del sistema, la condizione delle persone, incideva anche sui modi di vita, soprattutto sui modi di vita operai che hanno conosciuto una trasformazione radicale a cavallo tra gli anni '60 e gli anni '70, lì c'è proprio un cambio di mondo. Per quanto riguarda me personalmente, oltre a queste letture e a questa tradizione italiana avevo un forte rapporto con la Germania, e quindi sentivo fortemente l'influenza di Hans Jurgen Krahl, quindi della parte teoricamente più radicale della SDS, che allargava questa prospettiva ad altre tematiche che poi sarebbero rivenute fuori. Per esempio, c'è tutta la critica che Krahl rivolgeva a Jurgen Habermas, cioè la critica alla divisione tra ragione discorsiva e ragione strumentale che impoveriva l'idea di prassi, laddove invece la prassi non era mera prestazione lavorativa ma un concetto più ampio che conteneva in sé o sussumeva (come si era soliti dire a quel tempo) anche elementi relazionali, intellettuali, politici, più ricchi della pura prassi manuale. Si tratta di un discorso che poi, parlando di postfordismo e del nuovo modello che si è affermato nel corso degli anni '80 e '90, tornava di nuovo come elemento importante, come strumento di lettura utile.

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